Starlink, le critiche all’accordo non reggono: ecco perché

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di Andrea Gilli*

ROMA (Public Policy) – La possibilità che il Governo italiano firmi un contratto con Starlink, l’azienda di comunicazioni satellitari fondata da Elon Musk, ha generato un’intensa polemica politica. Le argomentazioni formulate contro un tale accordo meritano attenzione non solo alla luce del dibattito pubblico, ma anche perché alcune voci particolarmente autorevoli, tra le quali la presidenza della Repubblica, da quanto si legge sui giornali, avrebbero espresso dubbi o addirittura contrarietà. In questo breve scritto, riepiloghiamo e discutiamo le principali argomentazioni contro la firma di un accordo tra il Governo e Starlink che abbiamo letto e sentito sui media da parte di politici, analisti e docenti universitari. Dopo una breve analisi, nessuna di queste sembra essere particolarmente convincente.

Inaffidabilità di Musk. La prima obiezione riguarda la presunta inaffidabilità di Musk. L’obiezione si basa su tre considerazioni. Musk è un personaggio imprevedibile e propenso a diffondere disinformazione, come il suo profilo su X mostra. Musk è politicamente schierato e quindi non un contraente neutro. Infine, Musk in passato ha privato il servizio di Starlink alle forze ucraine.

L’imprevedibilità personale di Musk è un non-argomento. Un contratto verrebbe firmato tra Starlink e il Governo italiano e questo prevederebbe condizioni e penali in caso di mancata ottemperanza delle sue varie clausole e parti. Le posizioni politiche di Musk sono, analogamente, abbastanza irrilevanti. In primo luogo, è un po’ surreale che ci si preoccupi delle posizioni politiche del proprietario di un’azienda straniera quando con le partecipazioni del Tesoro nelle principali aziende energetiche e della difesa, il colore politico dei loro vertici è costamentente destinato a cambiare – e dunque, seguendo questo argomento, dovrebbe rappresentare una fonte di preoccupazione per i clienti esteri della nostra industria. In secondo luogo, come già detto, i contratti servono a neutralizzare questo genere di rischi.

La questione dell’Ucraina va infine contestualizzata. Quando scoppiò la guerra, Musk decise di fornire il servizio Starlink alle forze ucraine. Ad un certo punto, Musk ritenne che una loro controffensiva avrebbe potuto potuto portare a un escalation nucleare. Pertanto, questi preferì disattivare il servizio Starlink, rendendo di fatto l’operazione impossibile. Due aspetti meritano attenzione. Da una parte, non c’era alcun contratto: era Musk che di tasca sua forniva questo servizio. Dopo questo episodio, il Pentagono ha un firmato un contratto con Starlink per la fornitura del servizio alle forze ucraine. Da allora, il servizio Starlink non è più stato interrotto. Dall’altra parte, Musk avrebbe dimostrato enorme responsabilità. Possiamo discutere se la sua valutazione sull’escalation nucleare avesse fondamento (per chi scrive, la risposta è no), ma il suo comportamento suggerisce tutt’altro che irresponsabilità. Inoltre, è utile sottolineare che non è chiara la ratio per cui Musk potrebbe voler togliere il servizio Starlink al Governo di un Paese del G7 proprio quando questi cerca vendere lo stesso servizio in giro per il mondo.

Monopolio Starlink: bisogna affidarsi all’Antitrust. La seconda obiezione riguarda la posizione monopolistica di Starlink per cui, secondo alcuni insigni docenti, sarebbe necessario affidarsi all’Antitrust. Riportiamo l’argomentazione per come ci è stata presentata. Starlink ha una posizione di mono/quasi-monopolio esattamente come Apple, Google, Amazon, Nvidia, TSMC e molte, molte altre aziende operanti nell’ambito tecnologico. L’innovazione porta a vantaggi competitivi che si traducono in posizioni di monopolio temporanee. A differenza dei monopoli naturali, nei quali i consumatori non hanno alternative, in questi casi i consumatori possono spesso scegliere e la scelta ricade su prodotti o servizi di qualità inferiore. Se l’Antitrust, italiano o europeo, dovesse stabilire che Starlink è un monopolio, non è chiaro cosa potrebbe succedere visto che è il Governo a chiedere i servizi di Starlink. Al momento, in ogni caso, non ci sono i presupposti perché l’Antitrust possa condannare Starlink per una posizione dominante.

Dove è l’Europa? Nel corso degli anni, sembra che gli strali verso il Governo si siano progressivamente spostati contro Bruxelles. Quando qualcosa non va come taluni pensano dovrebbe andare, allora si critica l’Europa. In realtà sul tema spazio ed Europa bisogna fare due ragionamenti differenti. Da una parte, il successo di Musk nel campo dello spazio non è il prodotto del vantaggio di scala degli Stati Uniti. In realtà, è vero il contrario. Un ventennio fa, Musk sfidò i colossi dello spazio scommettendo che sarebbe riuscito a lanciare satelliti in orbita a una frazione del costo dei leader di mercato. Contro tutte le aspettative, ci riuscì. I leader di mercato erano, tra gli altri, Boeing, le cui difficoltà sono oramai enormi. Dall’altra parte, cosa ha fatto l’Europa in questi venti anni? Esattamente cosa molti le chiedono di fare ora, ovvero lavorare insieme e lanciare grandi iniziative comuni. L’innovazione include una componente di distruzione. Se non si vuole accettare di distruggere parte dell’esistente, non si può innovare. Vale a livello politico, artistico, tecnologico e industriale. L’Europa avrebbe dovuto organizzare le sue attività nello spazio favorendo la distruzione creatrice. Ciò non è successo e il risultato è il ritardo europeo. La domanda vera è se l’Europa debba cercare di chiudere il divario o, invece, non convenga guardare direttamente alla prossima generazione di tecnologie. Ci torniamo più tardi.

Non possiamo fidarci di un’azienda privata: le aziende nei settori strategici andrebbero nazionalizzate. Anche questa obiezione viene riproposta per come è stata formulata, nonostante la sua totale assenza di logica. I semiconduttori, I datacenter, il software, i carri armati, i sottomarini e i caccia che contribuiscono alla nostra difesa e sicurezza sono prodotti da aziende private. Persino in Russia e in Cina, le aziende della difesa e dell’alta tecnologia sono private. Sembra che molti osservatori siano rimasti fermi al tempo degli arsenali di Stato. Un ragionamento analogo vale per gli insigni studiosi che invocano la nazionalizzazione: non è chiaro cosa e chi potrebbe nazionalizzare. Starlink fornisce un servizio di connessione tra la terra e l’orbita bassa. Cosa bisognerebbe nazionalizzare: il servizio, i satelliti, lo spazio in orbita occupato da questi ultimi (contro gli attuali trattati internazionali), i lanciatori? L’idea di nazionalizzare ciò a cui non si ha neppure accesso forse mostra solo il decadimento della nostra università, da cui queste proposte emanano.

Le alternative europee. Molti infine ritengono che il contratto con Starlink non vada firmato in quanto sarebbe necessario preferire le alternative europee. Anche in questo caso va fatta chiarezza. In primo luogo, le alternative esistenti a Starlink, come accennato in precedenza, hanno dei limiti in termini, tra cui latenza e copertura. Se la coperta necessaria è troppo costosa, posso certamente comprare quella più economica, ma devo accettare che non sarà sufficiente. In secondo luogo, la vera alternativa a Starlink, Iris2, a oggi esiste solo sulla carta. Quindi non è un’alternativa. Dovrebbe entrare in servizio entro il 2030 ma tre considerazioni sono d’obbligo. Il servizio sarà molto più limitato rispetto a Starlink. La disponibilità di Iris2 dipenderà sia dalla capacità dell’industria spaziale europea dei lanciatori di raggiungere livelli di efficienza pari a SpaceX, l’altra azienda fondata da Musk (ad oggi, ciò non appare praticamente possibile) che dallo spazio fisico disponibile nell’orbita bassa di altri satelliti oltre a quelli di Starlink. In altre parole, il rischio è che letteralmente nello spazio manchi lo spazio per I nostri satelliti. In terzo luogo, è utile ricordarsi che i progetti europei nel campo della difesa e dello spazio soffrono spesso notevoli ritardi. Il drone a media altitudine Predator è stato usato dagli Stati Uniti in Bosnia nel 1996. I Paesi europei dovrebbero avere il loro entro il 2028. L’elicottero NH90 doveva entrare in servizio negli anni Novanta. Entrò negli anni Duemila, come l’Eurofighter.

Ma è sicuro e ci serve davvero? Le uniche domande che davvero hanno una logica e un fondamento riguardano la sicurezza, l’utilità e la necessità di Starlink. Per quanto riguarda Starlink, la sicurezza va divisa in due parti. La sicurezza dell’infrastruttura deriva dalla bassissima orbita dei suoi satelliti, che impedisce a piattaforme orbitali terze di interferire con la sua costellazione, e dal loro elevato numero, di fatto una garanzia contro un possibile attacco: si può neutralizzare un satellite, dieci satelliti, e forse cento satelliti. Quasi impossibile neutralizzarne migliaia tutti insieme. L’altro elemento della sicurezza di Starlink riguarda i dati che vengono trasferiti attraverso i suoi satelliti. In questo caso, il tema è di criptografia e sicurezza delle comunicazioni che riguarda principalmente le applicazioni utilizzate. In ogni caso normative europee e leggi italiane si applicano a Starlink e alla sua sicurezza e dovrebbe bastere farle rispettare.

Per quanto concerne l’utilità e la necessità di Starlink, è interessante notare come mentre in altri Paesi ci sarebbero studi di enti pubblici (negli Stati Uniti, il Congressional Research Service e il Government Accounting Office), privati (think tank quali il Center for Strategic and Budgetary Assessment o Hudson Institute) e pubblico-privati (come la RAND Corporation o l’Institute for Defense Analysis), in Italia questi mancano, semplicemente. Forse ciò spiega come mai ci siano opinioni tanto forti, quando l’analisi è così debole. Ciò detto, sarebbe certamente utile avere relazioni scritte che descrivano l’utilità e la necessità di Starlink. Facile immaginare che qualcuno storca il naso: non tanto per Starlink, ma per tutti gli altri casi in cui delle decisioni di acquisto, anche per cifre maggiori, sono prese senza molte discussioni o analisi.

Conclusioni. Da questo dibattito si possono trarre tre conclusioni. La prima riguarda il dibattito pubblico italiano che ricorda più una lite tra due fidanzati che si lanciano accuse reciproche e non invece una discussione matura fondata su dubbi, domande e dati. La seconda considerazione, che segue la prima, riguarda l’assenza di enti pubblici e privati preposti a fornire risposte, dati e analisi. La terza conclusione è di più ampio respiro. Il mondo sta cambiando trainato dall’accelerazione tecnologica. I paradigmi passati funzionano sempre meno, in particolare l’idea di lasciare innovare gli Stati Uniti, per poi cooperare a livello europeo con lo scopo di chiudere il gap tecnologico. La legge dei vantaggi comparati di Ricardo, in un’epoca di accelerazione tecnologica esponenziale, rende sempre più difficile competere non solo in molteplici ambiti, ma anche in quelli dove non si è tra i primi a partire. Su queste premesse dovrebbe basarsi l’azione pubblica, nazionale ed europea, tanto sui temi di sicurezza e difesa, che sui temi della ricerca, della tecnologia e dell’industria. Non sembra essere il caso. (Public Policy)

@aa_gilli

*docente di Studi strategici all’Università di St.Andrews in Scozia, Visiting Fellow all’Institute of European Policy-Making dell’Università Bocconi e Non-Resident Associate Fellow del NATO Defense College.