ROMA (Public Policy / Stradeonline.it) – di Piercamillo Falasca e Michele De Vitis – Come sarebbero andate le elezioni nel Regno Unito se avessero usato come sistema elettorale il nostro nuovo e famigerato Italicum? Nella sua versione britannica, chiamiamola per gioco ItalicUK, la legge elettorale italiana manderebbe al ballottaggio nazionale Conservatori e Laburisti (rispettivamente al 36,9% e al 30,5%) farebbe entrare in Parlamento meno partiti di quelli che invece avranno seggi alla Camera dei Comuni (6 anziché 11), ma assegnerebbe molti più seggi alle formazioni di medie dimensioni, come l’UKip e i LibDem.
Mentre scriviamo, i leader delle principali forze di opposizione hanno già annunciato le loro dimissioni da segretario: lo hanno fatto Ed Miliband, Nigel Farage e Nick Clegg, vice primo ministro uscente. Farage non è riuscito a conquistare nemmeno il suo seggio personale e l’UKip langue con appena un seggio conquistato a livello nazionale, i LiBDem ne avranno appena 8. Per il Labour si apre una fase difficile di ricostruzione di una identità perduta.
Se i sudditi di Sua Maestà avessero votato con l’ItalicUK, Miliband sarebbe ancora in pista, pronto a giocarsi ad armi pressoché pari il ballottaggio con Cameron. Gli elettori scozzesi sarebbero stati un enorme bacino da cui pescare per i laburisti, mentre Cameron avrebbe forse dovuto sterzare a destra verso il voto UKip. E il voto liberale, più sofisticato e centrista, chi proverebbe a blandirlo? Sarebbe stato un ballottaggio divertente.
La legge elettorale avrebbe dunque condizionato i destini personali e politici dei leader dei partiti, così come la stessa storia del Paese. Ad esempio, siamo così sicuri che Nigel Farage si sarebbe dimesso da segretario del suo partito? Per una forza come l’UKip, entrare in Parlamento con un plotone da 62 deputati sarebbe stata una svolta. Chi tra Cameron e Miliband avesso poi vinto al ballottaggio, avrebbe conseguito 357 seggi, dunque con un margine di maggiore tranquillità di quelli che davvero conquisterà il primo ministro uscente (una manciata di seggi in più della maggioranza assoluta dei 326).
Un primo effetto dell’ItalicUK sarebbe dunque stato quello di rendere più solida e stabile, quanto meno in termini numerici, la maggioranza parlamentare. In caso di sconfitta al ballottaggio dei Laburisti, questi avrebbero conseguito 150 seggi. A loro si sarebbero aggiunto 62 seggi dell’UKip, 38 dei LibDem, 24 dello Scottish National Party e 19 dei Verdi. Nessun altro partito sarebbe entrato in Parlamento, cosa che invece accadrà con il sistema uninominale effettivamente vigente nel Regno Unito: spetteranno 8 rappresentanti al Democratic Unionist Party fermo allo 0,6%, 3 a Plaid Cymru e 4 a Sinn Fein anche loro attestatisi sulla stessa percentuale. Chiudono il quadro dei piccoli (ma forti localmente) l’Ulster Unionist Party (2 seggi con lo 0,4% nazionale) e il Social Democratic & Labour Party (3 seggi con lo 0,3%).
La soglia del 3% dell’Italicum avrebbe mietuto vittime. Insomma, l’ItalicUK avrebbe ridotto il numero dei partiti della leale opposizione di Sua Maestà, come si usa dire da quelle parti, ma avrebbe anche ridimensionato la consistenza del maggiore di questi partiti di minoranza. Uno scenario a cui, secondo molti, è destinata l’Italia dell’Italicum, con un partito molto grande e molti partiti piccoli a fare opposizione. In caso di sconfitta al ballottaggio dei Conservatori (cosa che con queste percentuali sarebbe stata molto possibile) la stella di Cameron si sarebbe spenta immediatamente.
I Tory avrebbero conseguito qualche seggio in più rispetto all’ipotesi che a perdere sia il Labour (164 seggi) e gli altri partiti qualche seggio in meno (UKIP 56, LibDem 35, SNP 21 e i Verdi 17). Di questo gioco, resterebbe la morale di fondo: il sistema elettorale non è un gioco, ma un fattore di condizionamento della vita di una democrazia. Non l’unico, non il più importante, ma certamente un fattore fondamentale. (Public Policy / Stradeonline.it)
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