di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Anni di berlusconismo deteriore non hanno fatto bene al centrodestra. Le ultime settimane di guerra sono state una dimostrazione ulteriore della difficoltà della coalizione conservatrice (conservatrice si fa per dire: è un mix di nuovo e vecchio populismo) a costruire un’identità diversa una volta esaurita la fase berlusconiana. Naturalmente, la scoperta non è di adesso. Non è l’invasione dell’Ucraina per mano della Russia ad aver indicato i limiti del centrodestra. Già l’emergenza sanitaria aveva messo in evidenza i problemi di un’alleanza che non riesce a produrre un pensiero alternativo rispetto a sé stesso, il che si traduce in mancanza di innovazione.
Le parole di Silvio Berlusconi degli ultimi giorni, parzialmente riviste durante una convention di Forza Italia a Napoli (alla quale ha partecipato anche Ronn Moss, il Ridge di Beautiful), testimoniano le difficoltà di chi sognava la rivoluzione liberale e si è accontentato di ergersi a difensore di quella putiniana. “Nessuno in Occidente – neppure gli stessi ucraini – ha immaginato che la guerra per difendere l’Ucraina dovesse diventare una guerra di aggressione alla Russia”, ha detto Berlusconi. Ma infatti non c’è alcuna guerra di aggressione a Vladimir Putin, del cui destino – “non umiliamolo!”, è il grande mantra – ci si sta preoccupando troppo tra i cosiddetti pacifisti italiani. Come se non ci fosse altro di cui preoccuparsi. Compreso il fatto che dopo 80 giorni di guerra, il dittatore russo non accenna a interrompere la guerra che ha scatenato.
“L’Italia non può essere il ventre molle dell’Occidente e soprattutto non può diventarlo per responsabilità di Forza Italia”, ha detto la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini, per la quale Forza Italia è diventata un partito pieno di “ambiguità”: “Oggi più che ascoltare le parole di Putin, occorre ascoltare il grido di dolore dell’Ucraina, violentata e oppressa dall’invasore”. Anche Berlusconi è insomma un “complessista”, uno dei tanti che non riescono a spiegare le cose per come stanno a proposito della guerra in Russia. Ma nemmeno l’amicizia storica con Putin può giustificare la leggerezza con cui il leader di Forza Italia sta trattando la guerra in Ucraina. Il problema che pone Gelmini è dunque senz’altro giusto, il problema è che dentro Forza Italia non c’è mai stata opposizione. Impossibile farla, con Berlusconi che è il proprietario, l’alfa e l’omega di un movimento politico che sognava la libertà e si acconcia a fare la quarta gamba di neo-populisti e autocrati vari.
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Mercoledì scorso, alla Luiss, per la presentazione del libro di Giovanni Orsina, “Una democrazia eccentrica”, c’erano due relatori d’eccezione. Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Si vede che fra i due c’è – incredibilmente – molta sintonia. Da una parte insomma ci sono i neopopulisti Giuseppe Conte e Matteo Salvini, dall’altra gli iperpolitici Meloni e Letta. La prima punta a indebolire il capo della Lega, il secondo a ridimensionare il ruolo di Conte. Durante la pacata presentazione, tuttavia, c’è chi ne è uscito comunque meglio. Ed è la leader di Fratelli d’Italia, che riesce tutto sommato a far passare un passaggio semplice: “Io lavoro stando all’opposizione perché il Governo vada a casa quanto prima. Dall’inizio non ho fatto parte della maggioranza, ma non perché FdI va bene nei sondaggi. Ricordo che ho difeso il principio del diritto di voto degli italiani anche quando FdI stava al 3 per cento”.
Il problema è un altro, ha detto Meloni: “Queste maggioranze variabili vengono sempre giustificate con la responsabilità. Secondo me la responsabilità in politica è dare le risposte. Per dare risposte hai bisogno di un Governo che sia in grado di farlo. Quando in una Repubblica parlamentare metti insieme forze politiche che la pensano in maniera diametralmente opposta su tutto, quelle forze politiche, dovendo mediare al ribasso inevitabilmente non daranno le risposte che sono necessarie”. Per questo, ha spiegato Meloni, “non penso che la democrazia sia buona per i giorni di sole. Se le cose vanno male non si può votare, si dice. Ma a maggior ragione quando vanno male c’è bisogno di avere una guida che abbia un mandato forte e che sappia dove andare. Perché quella guida funzioni deve avere una visione e una compatibilità della maggioranza. Questo è il terzo Governo di fila con una maggioranza che non usciva dalle urne. Sono andati bene questi Governi?”.
Il compito di Meloni è estremamente facile, perché è all’opposizione fin dall’inizio della legislatura. Non è entrata a far parte del Governo Conte 1, non è entrata a far parte del Governo Conte 2, non è entrata a far parte del Governo Draghi. È all’opposizione che si costruisce meglio il consenso, soprattutto quando i Governi non funzionano, come i due Esecutivi Conte. Con Draghi è senz’altro più complesso dire che le cose non vanno come sperato, anche se non mancano i problemi neppure per l’ex presidente della Bce. Resta un punto, per Meloni: l’obiettivo sembra essere quello di far scordare a tutti la propria eredità politica, nella consapevolezza che gli italiani le hanno provate tutte e ora manca solo a lei.
Quella di Meloni è d’altronde a suo modo una risposta iperpolitica, come aveva già avuto modo di spiegare lo stesso Orsina in un dialogo con il sottoscritto pubblicato da Luiss University Press, e non antipolitica: “I termini che utilizziamo di continuo nel dibattito pubblico, come sovranista, populista, antipolitico, antieuropeista, si sono caricati di un significato valutativo. Per l’opinione pubblica moderata, centrista o di centrosinistra, quella che troviamo rappresentata nei media mainstream e che dà il tono al dibattito pubblico, sono tutti concetti negativi, deteriori. È consentito quindi impastarli insieme in una bella polpetta ideologica. Siccome Meloni è sovranista ed euroscettica, ipso facto dev’essere pure populista e antipolitica. Ma non è così. Non saprei anzi da quale punto di vista la si possa definire antipolitica. Stiamo parlando di un partito impostato in una maniera quanto mai tradizionale, il cui obiettivo primario è difendere lo Stato nazionale, e che proviene inoltre da una tradizione iperpolitica come quella del Movimento sociale e poi di Alleanza nazionale (An), fatta di politica sul territorio e di professionismo politico”. (Public Policy)
@davidallegranti