di Lorenzo Castellani
ROMA (Public Policy) – Le elezioni amministrative hanno mostrato le debolezze del centrodestra e la competizione serrata tra Meloni e Salvini per una leadership ancora incerta. Forza Italia mostra insofferenza nei confronti dei due partiti nazionalisti e cerca di guadagnare maggiore autonomia in Parlamento e al governo. È evidente che l’ala governista di Forza Italia mal tolleri l’alleanza con Lega e Fratelli d’Italia e che sia invogliata a guardare al centro e alla prosecuzione di formule di governo nel prossimo futuro che rispecchino le alleanze europee tra popolari, liberali e socialdemocratici.
Nel centrosinistra, invece, se i risultati appaiono confortanti almeno nelle metropoli non si è sciolto il dilemma delle alleanze. Quella tra Pd e 5 stelle sembra una cooperazione destinata ad andare avanti più per questioni numeriche che di affinità, ma questa liason male si concilia con gli attori di centro, come Carlo Calenda e Matteo Renzi. La costruzione di un “campo largo” invocato dal segretario Letta non sarà facile, anche perché l’ala socialdemocratica del partito insiste per un’alleanza che escluda i centristi. Proprio il centro politico è in questi giorni argomento di discussione. Dalle amministrative si è intuito che esiste una percentuale di italiani, ancora difficile da definire, che voterebbe per un polo autonomo da destra e sinistra. Tuttavia, gli attori potenziali sono tanti, forse troppi. Dall’ex premier Renzi (Italia viva) all’eurodeputato Calenda (Azione) da Coraggio Italia di Giovanni Toti fino all’ala moderata di Forza Italia (Carfagna, Brunetta, Gelmini). Tanti colonnelli, ma nessun generale per ora.
LA LEGGE ELETTORALE
Naturalmente l’assetto politico italiano dopo le prossime elezioni dipenderà anche dalla legge elettorale. Quella attuale incentiva le coalizioni per competere nei collegi uninominali e questo terzo dei seggi assegnati col maggioritario penalizza proprio la formazione di un’alleanza centrista. La legge elettorale può diventare materia di scambio forse proprio nel corso delle trattative per il Quirinale pur se il confezionamento di un accordo in pochi mesi non sembra facile. Salvini e Meloni non hanno incentivi a concedere una legge proporzionale poiché questo significherebbe dare maggiore autonomia a Forza Italia, la quale potrebbe cedere alle pulsioni centriste e prestarsi ad alleanze future con il Pd.
Al contrario, proprio i democratici hanno necessità di allargare il campo se vogliono avere speranze di sedere ancora al governo dopo le prossime elezioni e di tenere aperte tutte le porte per gestire una alleanza elettorale che tenga insieme cinque stelle, sinistra e centro. Più facile farlo con una legge interamente proporzionale che con una che prevede i collegi uninominali. Se ci sarà una collaborazione parlamentare tra Forza Italia, gruppi centristi e Pd nell’elezione del nuovo capo dello Stato, con l’esclusione di Lega e FdI, un accordo sulla modifica della legge elettorale sarà più facile da trovare. Altrimenti l’attuale Rosatellum ha buone probabilità di sopravvivenza.
IL QUIRINALE
Le ultime settimane hanno visto una impennata di speculazioni relative all’elezione del prossimo capo dello Stato. Gli scenari restano sostanzialmente tre. Il primo è l’elezione di Draghi, verosimilmente nei primi tre scrutini (maggioranza richiesta 2/3), con l’appoggio dei partiti che sostengono il governo. Sarebbe una scelta lineare, ma restano due problemi in campo. Il primo è che il Pd vorrebbe un candidato meno autonomo di Draghi e più vicino culturalmente al partito mentre il presidente del Consiglio può restare al suo posto fino a fine legislatura; il secondo ostacolo sono le diffidenze di Forza Italia, dei centristi, del gruppo Misto e del Movimento 5 stelle che temono un possibile ritorno alle urne dopo l’elezione del presidente del Consiglio a capo dello Stato. Il meccanismo di ritorno al voto popolare dopo l’elezione di Draghi non è automatico, non è scritto nella Costituzione, ma si riuscirà a trovare un accordo tale da mandare Draghi al Quirinale e tranquillizzare questi partiti sul fatto che si formerà una maggioranza dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato?
Il secondo scenario è la rielezione di Sergio Mattarella. Una scelta che nelle ultime settimane sembra meno probabile. In primis perché l’attuale presidente si è più volte mostrato recalcitrante verso questa ipotesi; in secondo luogo perché sarebbe un iter particolare, accaduto in via eccezionale solamente per Giorgio Napolitano in quasi settant’anni di Repubblica; terzo, oggi sembra molto improbabile che Lega e Fratelli d’Italia possano appoggiare una rielezione di Mattarella. Può il presidente uscente accettare un secondo mandato senza una richiesta di tutti i partiti come successe con Napolitano? Se ciò accadesse si verificherebbe un precedente costituzionale inedito e forse poco appropriato sul piano istituzionale.
Il terzo scenario, invece, è quello che sta prendendo maggiormente quota negli ultimi giorni. Qualora la possibilità di eleggere Draghi o Mattarella dovesse sfumare per i motivi sovra esposti, si dovrebbe necessariamente convergere su un terzo nome. Qui le possibilità sono varie (Gentiloni, Cartabia, Casini, Amato), ma è probabile che una figura del genere sia scelta dopo il terzo scrutinio e da una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo. In questo scenario un ruolo chiave è svolto da Renzi e Berlusconi, che possono garantire al centrosinistra i voti necessari per trovare una figura di compromesso d’area democratica o di stampo istituzionale. In questo caso Draghi resterebbe probabilmente al suo posto, ma ciò non significa che non possano esserci ricadute sulla maggioranza. Nel 2015 il patto di legislatura tra Renzi e Berlusconi si sfasciò proprio per la mancata condivisione del primo della scelta del nuovo presidente della Repubblica. Una rottura della maggioranza sarebbe più probabile soprattutto nel caso in cui la Lega resti fuori dalla maggioranza che eleggerà il nuovo presidente, anche se con Draghi a Palazzo Chigi non sono molti gli incentivi a lasciare l’Esecutivo. Ad ogni modo, se Draghi non dovesse salire al Quirinale, è quasi certo che l’ultimo anno di legislatura sarà più complesso e pieno di tensioni rispetto a quello appena passato. (Public Policy)