di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Bisognerà fare i conti con Conte. Dopo un sostanziale silenzio, nelle ultime settimane l’ex primo ministro è tornato alla ribalta. Il combinato disposto di sondaggi a lui favorevoli, del supporto del Pd al “punto di riferimento dei progressisti”, dello sbandamento dei 5 stelle di cui è leader in pectore e, last but not least, della sua voglia di rivalsa, potrebbero riportarlo sul proscenio della politica. Tra l’altro, alla vigilia del semestre bianco e poi dell’elezione del capo dello Stato.
I pentastellati vivono un momento difficile per molteplici ragioni, tuttavia restano ancora il principale gruppo parlamentare. Conte, prima ancora di prenderne ufficialmente la guida, è tornato a cavalcare vecchie battaglie come il limite a due mandati o l’alleanza strategica con la Cina (sic!). L’ambizione sottostante è serrare i ranghi e evitare ulteriori fughe verso destinazioni più oltranziste, come quelle di Di Battista. Questa tattica che serve a radunare le truppe, per rafforzare l’identità del partito e non disperdere la sua popolarità, potrebbe però andare in contrasto con il Governo Draghi. Questo lo metterebbe in rotta di collisione con i governisti (Di Maio) e con i parlamentari ortotteri (tutti) che vogliono arrivare a fine legislatura. Tuttavia Conte starebbe valutando l’ipotesi di uscire dalla maggioranza, anche se la ritiene molto, forse troppo rischiosa.
C’è da dire che, una volta spogliato del vestito istituzionale che esaltava la sua immagine, sono emersi i limiti, soprattutto politici, dell’avvocato di Volturara Appula. O meglio, il suo funzionale trasformismo è diventato totale assenza di posizionamento politico. D’altra parte lui stesso si definì prima “avvocato del popolo” e “populista e sovranista”, per poi diventare lo Giuseppi “europeista nel nome di Ursula”. Ora, l’unico modo per sfruttare la contingenza, e riposizionarsi camaleonticamente, sarebbe mettersi in contrasto con Draghi, ma questo lo renderebbe inviso a Bruxelles, Berlino, Parigi, Washington, nonché al Quirinale. Forse gli resterebbero Ankara e Pechino. Non proprio la scelta ottimale in questo periodo.
Tuttavia tra poco parte il semestre bianco e poi ci sarà la battaglia per il Colle. Inoltre, molti nodi stanno arrivando al pettine, come la riforma fiscale (la legge delega scade a luglio), la fine del blocco dei licenziamenti, la giustizia, le nomine in Rai, senza dimenticare Ilva, MpS e Alitalia. Materiale radioattivo per qualunque Governo – e infatti nessuno in passato è riuscito a intervenire in modo determinante – ma che Draghi deve gestire se davvero vuole che il piano di rilancio del Paese possa essere, come si dice adesso, messo a terra. Però ognuno di questi dossier potrà essere l’occasione per Conte leader dei 5 stelle di rivendicare le proprie posizioni, di forzare le trattative, di piantare bandierine. Fino anche a far saltare il tavolo.
Vedremo. A conti (anzi a Conte) fatti, un ruolo fondamentale lo avrà il Partito democratico. Bettini continua a dettare la linea dell’alleanza strategica con i pentastellati, nella convinzione che gran parte dei voti grillini possa essere ricondotto nell’alveo dei progressisti. Una filosofia che è stata confermata nonostante il cambio di segreteria (dall’ex comunista Zingaretti al cattolico Letta) e nonostante in un contesto di grande coalizione quel patto non sia più necessario. Nei prossimi mesi però questo approccio dovrà passare un ulteriore esame. Se Conte proverà a sfruttare la situazione e, nutrendo i suoi sentimenti di rabbia, tenterà di alzare il polverone contro Draghi, il Nazareno continuerà a considerarlo comunque un suo alleato? (Public Policy)
@m_pitta