di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – 14 miliardi dal Pnrr (tra cui 5,7 miliardi non spesi di Transizione 5.0), 11 dai Fondi di Coesione, più altri eventuali 7 dal Fondo per il Clima. In totale sono 32 i miliardi che il governo avrebbe trovato per sostenere le imprese travolte dalla tempesta dei dazi. Una promessa da verificare nella fattibilità tecnica e finanziaria, e per cui serve il via libera di Bruxelles. Inoltre solo tra qualche mese capiremo se le minacce di Trump sono strumenti tattici temporanei o misure permanenti per incassare soldi, indebolire gli altri Paesi e far tornare la manifattura in patria. Tuttavia, già da ora si è diffusa poderosa la convinzione che sia necessario metter mano ai fondi pubblici per sussidiare l’intero sistema. E non a caso si torna a parlare di “sussidi”; “incentivi”, “aiuti”, ma non di investimenti per affrontare il cambio di scenario geopolitico.
Su questa falsariga Meloni ha fatto sapere alle imprese che a Bruxelles vorrà rinegoziare il divieto di aiuti di Stato, così da poter intervenire ove necessario. Vedremo come andrà la trattativa, che tra l’altro si intreccia con altre partite: dalla difesa dei prodotti, al risiko bancario europeo, al piano di riarmo e alla gestione del fronte orientale. Soprattutto, è stata invocata la sospensione del Patto di Stabilità appena riformato e tornato in vigore dopo 5 anni di sospensione. Un funzionario della Commissione ha fatto sapere che è “un po’ presto”. La Spagna ha stanziato 14 miliardi, è vero, ma “perché ha meno debito e cresce più di noi” ha detto il capo di Confindustria Orsini. E comunque, “lo hanno fatto a parole, poi bisogna vedere”, ha specificato Giorgetti, che in questi due anni e mezzo è stato il garante dei conti.
La congiuntura non favorisce chi non ha i nervi saldi. E, in attesa delle conseguenze concrete, è presto per capire se e quanti soldi verranno stanziati. In Europa difficilmente verrà creato un nuovo fondo, sia esso come il NgEU o come il SURE per la disoccupazione. Più facilmente dirotteremo fondi a noi assegnati. Nel caso della proposta Orsini, che vuole riutilizzare i fondi non spesi di Transizione 5.0, vorrebbe dire spostare soldi dagli investimenti in cassa integrazione. Dall’incontro di martedì tra Governo e categorie imprenditoriali sono arrivate richieste troppo eterogenee, anche perché totalmente diverso è l’effetto dei dazi sui vari settori e sui vari comparti. Tuttavia la scelta su come impiegare questi soldi è determinante per il futuro della nostra industria.
Lo abbiamo visto con il Covid, dove molte aziende sono sopravvissute solo finché ossigenate dal bocchettone della spesa pubblica, per poi morire un minuto dopo la sua chiusura. Qualcosa di speculare, ma dello stesso significato, lo abbiamo visto nei dieci anni successivi al 2008: una vera e propria selezione darwiniana delle imprese, dalla manifattura al turismo, che ha consentito al nostro export di crescere a ritmi eccezionali, superiori a quelli tedeschi, e di reggere l’intera economia de Paese. Oggi potrebbe verificarsi qualcosa di simile. I prodotti che potranno superare con meno difficoltà le barriere doganali non saranno quelli che competono con il prezzo, ma con la qualità, l’alto valore aggiunto, l’innovazione. Il 20% su un vino da 10 dollari è diverso 20% su un vino da 50, soprattutto per l’acquirente. Così come il 20% su capo d’abbigliamento standard da 200 dollari è diverso dal 20% su una Lamborghini da 200mila.
Insomma, vecchia storia, da un lato c’è la spesa per investimenti, dall’altro la spesa corrente. Che comunque non è tutta uguale. La Corea del Sud nel 2024 ha esportato negli Usa per 127,8 miliardi di dollari, di cui circa un terzo in automotive. Per proteggere Hyundai, Kia, Daewoo hanno deciso di sussidiare il mercato interno, abbassando le tasse sull’acquisto di auto nuove (dal 5% al 3,5%) e raddoppiando gli incentivi per l’auto elettrica. Una soluzione temporanea, di 6 o 12 mesi, che a differenza della Cig di cui si parla in Spagna o Italia punta a mantenere i livelli produttivi sostenendo la domanda interna. Difficile dire se funzionerà, ma intanto elimina il primo livello di incertezza, che tanto nuoce a chi fa impresa. E comunque punta a sostenere l’industria. (Public Policy)
@m_pitta