Twist d’Aula – La partita della Commissione Ue passa (anche) per il Patto di stabilità

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – C’è qualcosa di nuovo nella partita per la nuova Commissione Ue. Oltre al nuovo Presidente, al nuovo Commissario italiano, al possibile “nuovo” appoggio di Meloni a von der Leyen, e a tanti altri temi che sono per la prima volta in mano a Bruxelles (Next Generation Eu, migranti, energia, industria della difesa, transizione energetica) c’è anche la questione del nuovo Patto di Stabilità e in particolare una nuova e inedita regola che impatta sul vecchio problema del debito pubblico, ormai vicino al record dei 3mila miliardi: il tetto alla spesa primaria, una “traiettoria tecnica” di riduzione della spesa pubblica che sostituisce il precedente criterio del saldo strutturale.

Cosa vuol dire esattamente? A leggere il testo, si tratta delle uscite al netto degli interessi, della disoccupazione, delle una tantum sulle entrate e degli investimenti Ue. In teoria, dovrebbe favorire politiche anticicliche. In pratica, è un vincolo aggiuntivo e ulteriore a quello del 3% in rapporto al pil. Al di là dell’andamento del ciclo economico, viene cioè fissato un tetto assoluto e indipendente alla spesa primaria netta (pensioni, stipendi, welfare, istruzione, sanità, etc) che l’Upb ha individuato in un range che va dal 1,8% al 2,1% all’anno. Significa che, oltre all’impossibilità di fare nuovo deficit, le uscite devono essere sempre e comunque inferiori alla crescita nominale. Significa, soprattutto, che la spesa pubblica totale, di circa 1000 miliardi non potrà aumentare nel complesso di più di 18-20 miliardi all’anno.

Un limite che non potrà essere derogato nemmeno per via dell’inflazione o delle crisi e che quindi rischia di rivelarsi un macigno enorme e invisibile, vietando ogni nuova forma di “aiuto” ai cittadini in futuro. Facciamo un esempio? Solo confermando il taglio del cuneo fiscale, la riduzione di una aliquota Irpef e il bonus maternità, la spesa primaria netta aumenterebbe del 3,3% all’anno. Quasi il doppio di quanto previsto dal nuovo Patto di Stabilità. C’è chi dice che durante le trattative dello scorso anno, né il governo né la struttura del Mef abbiano prestato la dovuta attenzione al tema. Ma ora hanno dovuto cominciare a farlo, provando a rinegoziare l’interpretazione della norma.

In effetti, se nonostante il divieto di nuovo deficit la prossima legge di Bilancio non sembra impossibile da costruire, se le cose restassero come sono potrebbe diventare impossibile mantenere le misure esistenti (senza aggiungerne di nuove) per un oscuro vincolo europeo. Cosa che apparirebbe alquanto priva di senso ai più.  E’ anche per questo che Meloni non vuole, e non può rimanere fuori dai giochi della nuova Commissione. E’ anche per questo che non può né astenersi né votare contro la riconferma di von der Leyen. Una estromissione dal sostegno al nuovo governo comunitario (anche se come supporto esterno) implicherebbe una netta riduzione della capacità negoziale. Anche su questo tema, che è una norma dai profili ancora sfumati e passibili di diverse interpretazioni. Perciò, un problema nuovo che potrebbe diventare enorme. Ma che potrebbe avere una vecchia soluzione. Quella della deroga. Tutto dipenderà dal voto di domani. (Public Policy)

@m_pitta

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