di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – L’economia condiziona la politica. Poiché già stiamo camminando sul crinale tra crescita zero e recessione, con la possibilità che la guerra prosegua e che lo scenario peggiori ulteriormente, bisogna chiedersi quali saranno gli effetti prossimi venturi del ciclo economico negativo. L’offerta politica sta già cambiando e fra sei mesi, quando la campagna elettorale entrerà nel vivo, è possibile che il bacino del malcontento da cui pescare voti sarà ancora più ampio di quello, già consistente, di oggi. E che esca fuori qualche sorpresa. Al primo turno delle presidenziali francesi la somma dei consensi per i candidati anti-establishment ha superato il 55%. Al secondo turno Macron ha riassorbito parte di quei voti, ma non tanto per una sua trasformazione politica che pure ha provato a mettere in campo, quanto per la logica del sistema maggioritario a doppio turno transalpino che, come sempre, taglia le estreme e assicura convergenza verso il centro.
In Italia, considerato che sia Pd che Fratelli d’Italia potrebbero ricavare vantaggi dall’attuale sistema elettorale ibrido, difficilmente ci saranno modifiche in senso proporzionale o a doppio turno. Letta ha lanciato una strategia per recuperare voti a sinistra, aumentando i salari e sostenendo i redditi. Vedremo se sarà sufficiente a sfilare consensi alle altre forze politiche che da anni cavalcano lo scontento popolare. Vedremo anche se l’alleanza con i 5 stelle, nel caso fosse confermata, sarà a trazione dem o nuovamente grillina, con il corollario di antimilitarismo e simpatie antiatlantiche portato in dote da Conte. Lo stesso nel centrodestra, che con il Rosatellum dovrà pur trovare una quadra: a prevalenza sovranista- populista o come destra europea e istituzionale?
Sono domande da tempo senza risposta. Solo che con l’avvicinarsi delle elezioni diventano più incalzanti. Anche perché la crisi si fa sentire. Le ultime stime sono tutte peggiorative rispetto a quelle del Governo nel Def (+3,1% di pil nel 2022): Confindustria dice +1,9% Bankitalia tra il 2 e -0,5%, Confcommercio 1,3%. Al netto dell’effetto trascinamento del 2021 potremmo già essere in recessione. E anche sommando il +6,7% dello scorso anno a quanto potremo recuperare quest’anno, a fine 2023 non saremo ancora tornati ai livelli pre-pandemia. Con un debito pubblico gonfiato di 350 miliardi e l’inflazione moltiplicata per sei.
Tra qualche giorno scade lo sconto di 25 centesimi sui carburanti. I 6 miliardi stanziati contro il caro energia rischiano di non produrre effetti rilevanti. Le bollette pesano molto sui redditi bassi. L’inflazione potrebbe risucchiare nella spirale della povertà circa 400mila famiglie. Le prospettive di ripresa si affievoliscono. Lo scontento monta tanto più che dopo due anni di pandemia, non appena si è intravisto uno spiraglio di luce, il clima è tornato pesante. Vediamo chi saprà scegliere gli abiti adatti. Letta sta provando a fare il cambio di stagione, ma le forze che tradizionalmente cavalcano il malcontento nei sondaggi sommano circa il 50% dei consensi. Hanno un guardaroba fornito per l’occasione. E l’Italia non ha il sistema elettorale ed istituzionale, e nemmeno i conti pubblici della Francia. (Public Policy)
@m_pitta