Twist d’Aula
L’eterogenesi dei fini delle leggi elettorali

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – L’eterogenesi dei fini delle leggi elettorali. La legge Calderoli voluta da Berlusconi aiutò Prodi ad andare a Palazzo Chigi. La circoscrizione Estero, ideata da Mirko Tremaglia nel 2001 in uno slancio patriottico e identitario, ha favorito la sinistra in ogni elezioni.

Con il Mattarellum il centrodestra vinse due volte su tre. E il proponente, Mariotto Segni, nel 1994 passò un brutto quarto d’ora. E oggi è possibile si verifichi qualcosa di simile, perché la legge Rosato è nata per favorire le coalizioni che a sinistra non ci sono più, se mai ci sono state. Mentre è possibile che a destra si vadano a rompere dopo il voto. Sicuramente il nuovo sistema elettorale ha il merito di armonizzare i sistemi di elezione di Camera e Senato, di alzare le soglie e restituire al Parlamento il ruolo di legislatore.

E certamente ha qualche difetto, come le candidature plurime (chi corre nell’uninominale può presentarsi in altre 5 liste proporzionali) in collegi plurinominali relativamente piccoli (massimo otto candidati sia per Camera sia per Senato) e senza possibilità di esprimere preferenze. Inoltre, nonostante il mix tra maggioritario (37% dei seggi) e proporzionale (63%), non è previsto il voto disgiunto, come era per il Mattarellum. Con il risultato che l’elettore che volesse esprimere la propria preferenza per una sola lista nel proporzionale vedrebbe il suo voto automaticamente assegnato al candidato del collegio nella parte maggioritaria. E viceversa.

C’è anche un problema per la ripartizione dei seggi del Senato, che avviene a livello nazionale, nonostante la soglia di sbarramento venga calcolata su base regionale. Si può discutere ancora a lungo dei dettagli, come anche del metodo di approvazione a colpi di fiducia e a pochi mesi dalle elezioni. E vedremo questa settimana quale sarà l’esito dell’esame da parte dell’aula di Palazzo Madama. Ma il tema, in fondo, è un altro.

I collegi uninominali sono stati palesemente inseriti per favorire le coalizioni – qualcuno dice contra Movimento 5 stelle, qualcun altro per dividere la sinistra di Pisapia da quella di D’Alema – e non per avvicinare l’eletto agli elettori. Con la quota maggioritaria, infatti, si eleggono 232 deputati e 116 senatori, in pratica due membri della Camera e uno del Senato per ogni provincia. Diciamo un rapporto un po’ troppo largo per favorire il legame con il territorio, anche perché il candidato non ha nemmeno l’obbligo di residenza nel collegio.

Ma, al di là dei tecnicismi e delle modalità di approvazione, c’è qualcosa di più rilevante a livello politico. A inizio estate il Pd aveva proposto un proporzionale sul modello tedesco, in cui ogni partito avrebbe corso da solo. Adesso, con i collegi, Renzi ha voluto assecondare uno strumento elettorale per favorire l’alleanza con altre forze, che però sembrano non esserci più. Tutti i potenziali alleati, infatti, incontrano difficoltà. Pisapia è titubante, Calenda si è tirato indietro, Emma Bonino declina gli inviti.

Insomma, la coalizione a guida Pd sembra ridursi ad una partnership con Alfano. Nel centrodestra c’è un problema speculare, ma differente. Nel caso, possibile, in cui la coalizione dovesse arrivare prima ma senza ottenere la maggioranza necessaria a formare un Governo, dovrebbe cercare un’alleanza parlamentare con il Pd. Ma, mentre Berlusconi potrebbe essere disponibile, Salvini e Meloni non lo saranno mai. Con il risultato che, in quel caso, le alleanze delle urne si andrebbero ancora una volta a rompere in Parlamento.

Con Forza Italia al Governo e Lega e Fratelli d’Italia all’opposizione. Che, a quel punto, potranno gridare all’inciucio. Ma anche i 5 stelle avrebbero gioco facile nel sottolineare quanto la volontà degli elettori non venga trasmessa e poi tradotta in Parlamento. E, quindi, dopo aver subito i danni di una legge elettorale che oggettivamente li penalizza, provare a ribaltare il tavolo, evidenziando il tradimento della volontà popolare.

Sempre che non ci siano grandi sorprese nelle urne, come talvolta accade quando si vota con “nuove” leggi elettorali. (Public Policy)

@GingerRosh