di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – È finita così, è finita che in Sardegna ha vinto il cosiddetto “campo largo”. Ma prima di tutto ha vinto Alessandra Todde, nuova presidente della Regione Sardegna, visto che ha preso più voti della somma dei partiti che la sostenevano. Il voto disgiunto ha infatti punito Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, che non è stato votato a sufficienza nemmeno nella sua città. Imposto da Giorgia Meloni al posto dell’ex presidente Christian Solinas, Truzzu sembra anzitutto non aver convinto tutti i partiti della coalizione, a partire dalla Lega che si è vista scippare la candidatura. C’è da dire che le basse performance di Solinas avrebbero messo in difficoltà qualsiasi candidato alternativo, ma senz’altro il destra-centro non è stato premiato dalla modalità di scelta della candidatura, piovuta dal cielo da Roma.
Per l’alleanza M5s-Pd la vittoria è una ottima notizia per rilanciare il campo largo anche in altre Regioni e Comuni, ma Giuseppe Conte (nella foto) ci tiene a mettere subito le cose in chiaro: “Abbiamo vinto con la forza e la competenza di Alessandra, con le proposte serie e credibili, con un ‘campo giusto’ con le altre forze politiche. Non servono ammucchiate, campi larghissimi e minati”, dice il presidente del M5s festeggiando “la nostra Alessandra Todde”. Nostra, del Movimento 5 stelle, appunto. Il Pd, ancora una volta, rischia di doversi adeguare. Lietamente, a quanto sembra: “La Sardegna indica che la strada imboccata tra mille difficoltà nel settembre 2019 era quella giusta. Ora va percorsa con convinzione e generosità”, dice l’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, rilanciando l’alleanza che fece nascere il Conte 2. Non mancano i problemi, tuttavia, fuori dall’isola: a partire dalla politica estera, avverte Lorenzo Guerini, presidente del Copasir. Non esattamente un dettaglio. È più il Pd a voler rilanciare l’alleanza, insomma, che il M5s. Anche laddove ancora non c’è. Come in Basilicata, dove ad aprile si vota e dove l’alleanza è possibile. Ma c’è chi vorrebbe strutturarla anche a Firenze, dove altrimenti il M5s rischia di unirsi alla lista promossa dal rettore dell’Università per Stranieri di Siena Tomaso Montanari.
Per la destra è il primo segnale di stop dopo una corsa che fin qui è stata inarrestabile. Uno stop che riacutizza le tensioni interne alla maggioranza, che andranno inevitabilmente avanti fino alle elezioni europee. Meloni ha molto da rimproverare anzitutto a sé stessa. Le tensioni sarde non avranno conseguenze sugli equilibri di governo, forse, come spiega Antonio Tajani, ma inducono i partiti del destra-centro a una forzata riflessione. Anche perché lo scherma si potrebbe riproporre nelle prossime settimane, in un anno elettorale che è molto denso. E fin qui, la destra ha sempre trovato il modo di presentarsi unita e compatta almeno nelle urne, era diventato quasi un luogo comune. Per la prima volta l’armonia è stata compromessa a vantaggio dell’alleanza demo-populista.
@davidallegranti