When in trouble, go bis: chi vince e chi perde

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – When in trouble, go bis. È dunque servita una seconda rielezione – la seconda di seguito – del presidente della Repubblica per superare lo stallo. Veti incrociati, nomi bruciati, figuracce dei leader, a partire da Matteo Salvini, che ha giocato la partita in maniera sconclusionata. Prima la rosa dai petali finti, poi la candidatura della presidente del Senato, impallinata dai suoi parlamentari (una riedizione dei 101 di Prodi, ma declinata al centrodestra), poi il testacoda su Mattarella: chiediamogli di ripensarci.

È insomma finita così, con Mattarella che incassa un secondo mandato all’ottavo scrutinio.

Legittimo immaginare che inizierà subito la resa dei conti nel centrodestra, soprattutto nel partito di Salvini. Già oggi è circolata la voce delle dimissioni di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico e draghiano della prima ora, che poi ha detto: “Sono felice che Mattarella abbia accettato con senso di responsabilità l’intenzione del Parlamento di indicarlo alla presidenza della Repubblica. Dimissioni? Per affrontare questa nuova fase serve una messa a punto: il Governo con la sua maggioranza adotti un nuovo tipo di metodo di lavoro che ci permetta di affrontare in maniera costruttiva i tanti dossier, anche divisi, per non trasformare quest’anno in una lunghissima, dannosa campagna elettorale che non serve al Paese”, ha spiegato Giorgetti al termine di un incontro con la Lega. C’è poi il fronte dei governatori, a capo del partito del Pil nel produttivo Nord. Da Massimiliano Fedriga a Luca Zaia. I competitor più adeguati, forse, alla disfida con Giorgia Meloni, che esce vincitrice – non fosse altro per coerenza – dalla settimana quirinalizia.

Fra chi non ne esce benissimo – diciamo – c’è anche Mario Draghi, che aveva iniziato la settimana avviando delle trattative personali per arrivare al Quirinale, senza riuscirci, minacciando anche dimissioni in caso di scelta di un presidente della Repubblica non in linea con il suo mandato. Con la conferma di Mattarella, Draghi resterà naturalmente al suo posto e avrà meno scuse per non fare il Draghi. C’è anche da dire, come osserva Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, che fin qui a Draghi è mancato un confronto duraturo e stabile con il Parlamento. Si è mantenuto troppo distante, ma se al prossimo giro volesse diventare presidente della Repubblica dovrebbe coltivare il consenso proprio tra Camera e Senato. Ha insomma bisogno di un legame con il territorio parlamentare. “Le Regioni giocheranno un ruolo fondamentale, essendoci meno parlamentari in virtù della riforma che li riduce di un terzo”, dice Giani a Public Policy. Non basteranno nemmeno la prossima volta le telefonate del lunedì, come quelle dei giorni scorsi.

Draghi dovrà essere abile insomma nel costruire consenso senza però ripetere quel che si è visto in questi mesi, quando ha iniziato ad accontentare troppo i leader di partito evitando di prendere le necessarie misure impopolari che un Paese ingessato come questo richiede. Il presidente del Consiglio dunque potrebbe utilizzare un eventuale consenso parlamentare contro le indicazioni dei vertici di partito. Per evitare di trovarsi nuovamente come all’inizio di questa settimana. In ogni caso, gli alibi sono finiti. Formalmente c’è un anno di Governo e le cose da fare sono molte. In troppi hanno dato per scontato che i soldi del Pnrr siano già nelle nostre tasche, quando non è così. Resta da capire però se non sarà rivista la squadra di Governo. Nell’anno pre-elettorale c’è da immaginare che i partiti vogliano contare di più a discapito dei tecnici. Già adesso rivendicano improbabili vittorie per la rielezione di Mattarella, figurarsi che cosa potrebbe succedere adesso, a un anno dal voto. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto Daniela Sala / Public Policy)