di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Le ultime due settimane non sono state un granché per l’armonia di governo. L’emergenza sanitaria non è finita, anzi si temono recrudescenze autunnali come l’anno scorso, e l’Esecutivo studia misure restrittive per colpire chi non si è ancora vaccinato. Lo stesso presidente del Consiglio ha parlato, forse frettolosamente, di obbligo vaccinale. Una misura complessa da far accettare a una parte della maggioranza che sostiene l’Esecutivo. D’altronde Mario Draghi, pur lasciando ampia libertà di pollaio ai partiti su questioni identitarie, non può non mediare con la Lega di Matteo Salvini. Lo si è capito benissimo la settimana scorsa, con il duello sul Green pass.
La Lega inizialmente ha votato a favore degli emendamenti di Fratelli d’Italia contro l’uso del certificato verde nei ristoranti, scatenando la reazione del Pd (il segretario Enrico Letta ha chiesto se la Lega può stare ancora al Governo), poi ha dato il via libera alla Camera alla conversione in legge del decreto 23 luglio 2021, recante “misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19”. Naturalmente, non gratis, ha spiegato Salvini: un sì condizionato al sostegno di alcuni ordini del giorno presentati in aula, “sui tamponi gratuiti, rapidi, salivari, sul no alla vaccinazione obbligatoria per tutti i lavoratori, sul no al green pass per i mezzi pubblici, e anche per la sanatoria delle cartelle esattoriali”.
La Lega insomma pratica una vecchia dottrina, la politica dei due forni. Non è tuttavia compatta, al suo interno ci sono discussioni continue su quale debba essere l’identità del partito un tempo guidato da Umberto Bossi. Ci sono i governisti, come Giancarlo Giorgetti, ma anche gli scettici, come Claudio Borghi, deputato no euro che oggi guida il fronte no Green pass. Ma le linee di frattura sembrano essere ancora più profonde ed è questo che emergerà nelle prossime settimane, quando ci saranno le amministrative (si veda il focus di Public Policy pubblicato il 9 settembre), che potrebbero non essere molto benevole nei confronti del centrodestra. Forse è in discussione persino lo stesso concetto di Lega nazionale. La svolta nazional-nazionalista impressa dalla segreteria Salvini potrebbe non essere definitiva. Anche perché il Nord produttivo spinge per una razionalizzazione dei malesseri leghisti, invocando ragionevolezza (gli interlocutori privilegiati dei ceti imprenditoriali rimangono sempre il governatore veneto Luca Zaia e il draghiano della prima ora Giorgetti). Ma la competizione con Giorgia Meloni, arrembante leader di Fratelli d’Italia, spinge il segretario del Carroccio verso pulsioni identitarie che talvolta mal si conciliano con l’appartenenza all’Esecutivo Draghi.
L’ambiguità però si scioglierà presto, probabilmente una volta chiuso il capitolo amministrative e aperto quello per il Quirinale. A quel punto anche nella Lega si ricomincerà a parlare della sua collocazione europea.
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@davidallegranti