di Lorenzo Castellani
ROMA (Public Policy) – Sulla politica economica il Governo sembra aver scelto la strategia del doppio binario. Da un lato ci sono i leader dei partiti e le promesse elettorali incorporate nel contratto e dall’altro la strada indicata dal ministro dell’Economia Giovanni Tria. Negli scorsi giorni, di fronte alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il titolare del dicastero di via XX settembre ha annunciato di voler tenere i conti in ordine e d’intraprendere una riduzione della spesa corrente di 10 miliardi.
Inoltre, il ministro ha smentito la possibilità di varare una manovra correttiva da 5 miliardi nel corso dell’anno, manifestando la volontà di soddisfare quanto richiesto dall’Europa sul piano del rapporto deficit/Pil facendolo scendere all’1,6% per la fine di quest’anno. Per il 2019, invece, Tria ha sostenuto di voler far slittare la discesa del rapporto sotto l’1% chiedendo a Bruxelles qualche decimale di spesa in più. Si parla, comunque, sempre di decimali e di nessuna manovra, né su questo né sul prossimo anno, volta a sforare pesantemente i vincoli europei, come invece avevano lasciato intendere Salvini e Di Maio nella fase di formazione del Governo.
In sintesi, le mosse del ministro dell’Economia prevedono di congelare in termini nominali la spesa corrente, interrompendo la sua crescita più o meno collegata alla dinamica del Pil a seconda degli anni, per dedicare agli investimenti pubblici tutti gli spazi di bilancio. Per raggiungere questi obiettivi, però, è necessario frenare sulle riforme proposte dal Movimento 5 stelle e dalla Lega che Tria vorrebbe implementare in una ottica di legislatura. In particolare i due punti più costosi ed importanti del programma come l’abolizione della riforma Fornero (costo di circa 20 miliardi l’anno secondo Il Sole 24 Ore) e il reddito di cittadinanza (costo di circa 17 miliardi) dovranno aspettare ed essere introdotti gradualmente nei prossimi anni. Lo stesso vale per la flat tax il cui costo dipenderà dalle modalità di realizzazione della stessa, ma che sarà comunque nell’ordine di qualche decina di miliardi.
D’altronde, come lasciato intendere dal ministro Tria, se si vuole ottenere qualcosa da Bruxelles sul piano della spesa è opportuno dare assicurazioni sulla sostenibilità dei conti pubblici italiani. In questa ottica, dunque, una manovra di spending review appare ragionevole per avviare una trattativa in sede di Ecofin e Consiglio europeo volta a raggiungere un maggiore spazio di manovra per gli investimenti infrastrutturali.
Resta il problema di assicurare all’elettorato dei partiti qualche forma di concretezza rispetto al programma. Per questo mentre Salvini si è concentrato sul tema immigrazione, Di Maio sta cercando di portare a casa una conversione del dl Dignita’ quanto più conforme alla proposta pentastellata.
Da ultimo nella strategia imposta dal ministro Tria esistono delle opportunità e dei rischi. L’opportunità consiste nel far percepire il Governo come responsabile sui conti pubblici stemperando le paure, tanto in Europa quanto nell’elettorato moderato, per la coalizione populista su cui l’Esecutivo poggia. Questa responsabilità finanziaria comporta necessariamente lo spacchettamento delle riforme più consistenti che saranno probabilmente attuate in una forma attenuata e con gradualità. Il frazionamento delle riforme, allo stesso tempo, presenta anche dei rischi. Il più evidente è che queste restino incomplete per la fine anticipata della legislatura e, in secondo luogo, che l’elettorato volti le spalle, nel corso del tempo, ai partiti di Governo per l’inconsistenza delle sue azioni. Cinque anni per completare le riforme, con la volatilità elettorale della politica moderna, potrebbero essere difficili da superare sul piano del consenso per Lega e Movimento 5 stelle. Il funzionamento del doppio binario dipenderà in gran parte da quanto l’Esecutivo riuscirà ad ottenere in sede europea e dalla capacità di sfruttare le eventuali concessioni di Bruxelles sul bilancio pubblico. Se questa strategia avrà successo è comunque probabile che lo Stato possa spendere maggiormente in investimenti per infrastrutture che per revisionare la Fornero o realizzare il reddito di cittadinanza nelle forme originarie previste dal contratto di Governo.