di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – “Solo il decreto Sicurezza è peggio del disegno di legge Sicurezza”, dice il volantino della manifestazione nazionale in programma per il 7 maggio a Roma in piazza Santi Apostoli, dalle 9.30 in poi. Il provvedimento emanato dal Governo “senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone” – dice l’Unione delle Camere penali italiane – è stato duramente criticato dai giuristi in queste settimane.
Pochi giorni fa oltre 238 giuspubblicisti, tra cui Ugo De Siervo ed Enzo Cheli, hanno pubblicato un appello “per una sicurezza democratica”: “Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere”. È accaduto spesso in passato ed anche in tempi recenti, hanno scritto ancora i giuspubblicisti, che “la dottrina si trovasse a denunciare l’uso abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, presidenti delle Camere hanno più volte preso posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati”. Quanto al merito, “si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne impedisce la preventiva conoscibilità”.
Nelle settimane scorse nell’aula della commissione Giustizia della Camera si sono svolte alcune importanti audizioni sul decreto. Tra gli interventi c’è stato anche quello di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che è intervenuto per criticare con durezza un decreto che, ha detto, rischia solo di peggiorare il sovraffollamento carcerario. Antigone ha anche presentato un documento molto duro e al contempo informativo sul decreto: “Per la prima volta in assoluto si apre alla possibilità che il bambino venga strappato a sua madre. Il decreto prevede infatti che la donna che non si comporta a dovere (compromette l’ordine o la sicurezza dell’istituto, diciture – di cui il decreto è pieno – sufficientemente vaghe da permettere qualsiasi arbitrio) mentre è sottoposta alla custodia cautelare in un Icam possa venire trasferita in un carcere ordinario senza suo figlio. Per lui o per lei verranno allertati i servizi sociali”.
Tra le norme più pericolose presenti nel testo che “cancella tasselli di Stato di diritto”, vi è il nuovo delitto di rivolta penitenziaria: “Con esso il Governo ha deciso di stravolgere il modello penitenziario repubblicano e costituzionale, ricollegandosi al regolamento fascista del 1931. Il delitto di rivolta carceraria, così come formulato nel decreto, sarà un’arma sempre carica di minaccia contro tutta la popolazione detenuta. La violenza commessa da un detenuto verso un agente di Polizia penitenziaria, che già prima era ampiamente perseguibile, ora è parificata alla resistenza passiva”. In sintesi, se tre persone detenute che condividono la stessa cella sovraffollata si rifiutano di obbedire all’ordine di un poliziotto, con modalità nonviolente, “scatterà la denuncia per rivolta e una ipotetica condanna ad altri 8 anni di carcere senza potere avere accesso ai benefici penitenziari, in quanto la rivolta viene parificata ai delitti di mafia e terrorismo. È la trasformazione del detenuto in corpo docile che deve obbedire”.
Con il delitto di rivolta carceraria, che vale anche per i migranti reclusi nei CPR, “è evidente il richiamo alle norme presenti nel regolamento carcerario fascista del 1931, quando si prevedeva che ‘i detenuti devono passeggiare in buon ordine e devono parlare a voce bassa’ o che per ‘dare spiegazioni alle persone incaricate della sorveglianza i detenuti sono obbligati a parlare a bassa voce’ o infine che ‘sono assolutamente proibiti i canti, le grida, le parole scorrette, le domande e i reclami collettivi’”.
Contro queste derive securitarie insomma giuristi e operatori del diritto scenderanno in piazza questa settimana. (Public Policy)
@davidallegranti





