Il decreto Sicurezza e il bipopulismo penale

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di Carmelo Palma*

ROMA (Public Policy) – Sono molteplici le critiche politiche e le censure giuridiche all’ennesimo “decreto Sicurezza” emanato dal Governo, che ha incorporato e parzialmente rettificato, in dialogo e con l’avallo del Quirinale, il contenuto di un disegno di legge di iniziativa governativa, che era giunto alla seconda lettura al Senato.

All’opposizione parlamentare, che ne ha denunciato la natura repressiva e securitaria si è unita una vasta compagine di operatori del diritto – dai docenti di Diritto pubblico e costituzionale a quelli di diritto penale, dall’Anm all’Unione delle Camere penali – che ha evidenziato le diverse ragioni di allarme suscitate, sia sul piano del merito che della legittimità, da questa iniziativa legislativa.

Non si tratta di ragioni in sé nuove, ma forse è proprio la normalità che ha ormai assunto in Italia l’ipertrofia legislativa in campo penale e il ricorso sistematico alla decretazione d’urgenza, per darvi istantanea attuazione, a rappresentare la maggiore ragione di inquietudine e di sconforto. A diventare normalità è stata proprio la cronicizzazione dell’anomalia. In questi giorni emerge la plateale contraddizione tra la cultura garantista rivendicata a parole dalla destra e la sua inveterata inclinazione a utilizzare il diritto penale come strumento privilegiato di comunicazione politica e passepartout per emergenze sociali reali o percepite.

Un’analoga contraddizione, però, potrebbe essere rinfacciata anche all’opposizione di sinistra, che in questo caso contesta la stessa sovrapproduzione panpenalistica, che in altri casi – cioè rispetto ad altri bersagli – ritiene doveroso praticare e difendere come irrinunciabile presidio della legalità democratica. Si pensi alle martellanti campagne condotte sui reati contro la Pubblica amministrazione, a partire da quelli, come l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze, di più incerto concetto e arbitraria imputazione, ma considerati necessari come vero e proprio pegno di onestà politica. L’atteggiamento corrispondente a destra è la superfetazione sanzionatoria in tema di immigrazione, su cui si è ormai giunti alla teorizzazione e alla prima sperimentazione di una sorta di diritto separato per stranieri indesiderati.

Si pensi, ad esempio, alla norma recentemente bocciata dalla Corte costituzionale sulla violazione del diritto di difesa degli stranieri nei procedimenti di convalida dei trattenimenti. Nel bipopulismo penale italiano destra e sinistra hanno certamente nemici diversi, ma hanno una cultura dei delitti e delle pene molto più simile di quanto non sembri. Entrambe ritengono che il principio di necessaria offensività di una condotta, perché questa sia inquadrata in una fattispecie incriminatrice, vada valutata alla luce di una domanda di giustizia che travalica la tecnicalità delle norme penali e trova corrispondenza nel senso comune degli elettori (che sono ovviamente, per entrambi, gli elettori della propria parte politica).

Sia destra che sinistra, inoltre, ritengono che i minimi e i massimi edittali delle pene o la determinazione delle circostanze aggravanti non debbano essere proporzionati alla gravità del reato e delle modalità dell’azione, ma all’allarme che questa suscita, al di là dell’entità della lesione che la condotta incriminata arreca al bene giuridico protetto. Così si arriva all’assurdo di prevedere – come avviene appunto nel decreto Sicurezza – che il reato di occupazione abusiva di immobili abbia un massimo della pena, pari a sette anni di reclusione, uguale a quella delle lesioni personali gravi (per le quali, cioè la vittima abbia rischiato la vita o abbia subito un danno permanente), o che un furto compiuto in una stazione ferroviaria abbia una pena superiore al medesimo furto compiuto per strada, in un supermercato o in un ospedale.

Il totale pervertimento della legge penale in Italia ha portato al paradosso per cui le sue principali funzioni sono diventate quella rappresentativa dell’impegno del legislatore contro i fenomeni, non necessariamente criminali, da cui gli elettori si sentono più afflitti e quella simbolicamente risarcitoria dell’afflizione patita. Un diritto penale che corre senza freni verso il miraggio dell’esemplarità, notoriamente suscettibile di declinazioni discriminatorie, è però destinato ad abbandonare il campo della razionalità e della giustizia, per installarsi, come è avvenuto in Italia, in quello della demagogia politica low cost, visto che, ad esempio, presidiare meglio le stazioni e sveltire gli sgomberi delle case occupate costa tempo, denaro e fatica, mentre promettere galera come se piovesse si pensa (molto sbagliando) che non costi niente. (Public Policy)

@CarmeloPalma

*l’autore è responsabile dell’Ufficio legislativo di Azione al Senato