Il duello sulla Giustizia

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – È la madre di tutte le battaglie, almeno per una parte della maggioranza. La separazione delle carriere dei magistrati – appena votata in ultima lettura al Senato – è però soltanto un pezzo, una parte, della riforma della Giustizia. È dunque una questione di percezione e ancora una volta vincerà chi la saprà raccontare meglio. Per questo nella maggioranza di Giorgia Meloni c’è già la corsa a cercare i testimonial migliori, più adeguati, per affrontare la campagna elettorale referendaria (si voterà nella primavera dell’anno prossimo).

Intanto però è in corso un tentativo, almeno da parte del ministro della Giustizia Carlo Nordio e forse anche del resto del centrodestra, di depoliticizzare il dibattito: “Auspico che la campagna referendaria  si svolga sui contenuti, sugli aspetti tecnici” della riforma e “non divenga un Meloni sì, Meloni no, come fu per Renzi”, anche perché “la  riforma non è rivoluzionaria come si dice”, ha spiegato Nordio conversando con i cronisti  in Senato nei giorni scorsi. “La separazione delle carriere – ha detto Nordio – conclude il  percorso iniziato nel 1983 con l’introduzione del processo  accusatorio. Nella Costituzione del 1948 c’era un’unica carriera perché in Italia vigeva il processo inquisitorio ereditato dal  fascismo, come il codice penale. In tutti i Paese in cui esiste il processo accusatorio s’è anche la separazione delle carriere, che quindi è una riforma meno rivoluzionaria di come si dice”.

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@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)