La fine di un’epoca: Conte ha eliminato Grillo

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Giuseppe Conte ha eliminato Beppe Grillo. Via votazione online, una beffa. Si è dunque conclusa la fase (ri)costituente del M5s, con la consultazione degli iscritti (su 88.933 aventi diritto hanno votato in 54.452 per i quesiti relativi alle modifiche dello Statuto e in 48.112 per i quesiti relativi alle modifiche del Codice etico) che hanno congedato il co-fondatore, fino a domenica noto come Garante dei 5 stelle. Il 63,24 per cento ha detto sì all’eliminazione del ruolo ricoperto da Grillo. La maggior parte dei votanti (39,10 per cento) propone ora l’affidamento delle funzioni del garante a un organo collegiale “appositamente eletto”. È davvero la fine di un’epoca e di un’epica per il partito creato da Grillo e Gianroberto Casaleggio.

Conte ha dunque ottenuto quello che voleva. La defenestrazione dell’ex comico, la modifica del limite dei due mandati, la ridefinizione delle possibili alleanze. Il 79,29 per cento vuole consentire in deroga la candidatura a sindaco o presidente di Regione, il 67,20 per cento vuole elevare a 3 il limite dei mandati, il 74,96 per cento chiede che le deroghe possano essere sottoposte al voto dell’assemblea, il 64,82 per cento vuole eliminare i limiti per il livello comunale. Insomma, è un cambio radicale per un partito oggi irriconoscibile rispetto alla propria identità iniziale, quando i parlamentari del M5s nemmeno andavano in tv, figurarsi parlare con qualche avversario politico. Invece anche sulle alleanze c’è un effettivo cambio di rotta: l’81,20 per cento dei partecipanti non vuole il divieto di alleanze politiche. Soltanto uno sparuto 13,87 per cento di puristi lo vorrebbe.

Via libera all’alleanza strutturale con il Pd, dunque? “Ci teniamo strette le radici, dalle quali discende la radicalità delle nostre battaglie”, ha detto Conte in un’intervista a Repubblica nei giorni scorsi. “Ma nel 2021, raccogliendo centinaia di suggerimenti, ho elaborato e messo ai voti una carta dei principi e dei valori approvata a larghissima maggioranza dalla comunità degli iscritti. È un manifesto progressista che marca una distanza netta da questa destra che persegue la frammentazione dell’Italia, la mordacchia ai giudici, l’abbattimento degli equilibri costituzionali con una chiara deriva autocratica”. Quindi “se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”. L’indicazione porta a un’alleanza col Partito democratico, gli ha fatto notare Repubblica: “Su questo, la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd, non sarebbe compatibile con il dna del M5S. Ho sempre ragionato di un dialogo da coltivare con le forze del campo progressista per valutare intese, stando sempre attento a difendere la nostra identità e le nostre battaglie”.

Visibilmente galvanizzato dalla vittoria, Conte ieri ha preso atto che il 36,70 per cento dei votanti vuole che il M5S si qualifichi tra i “progressisti indipendenti” (il 26,24 per cento è per “nessun posizionamento”, mentre il 22,09 per cento è per la dicitura “forza progressista” e l’11,53 per collocarsi fra le forze “di sinistra”). Una indicazione chiara dunque per un partito che per anni ha combattuto contro il Partito democratico, convinto com’era del livello di corruzione politica e morale della sinistra italiana. “Non siamo fatti per stare in una torre d’avorio”, ha però detto Conte: “Siamo disponibili a sporcarci le mani e a confrontarci. Ma ci sarà intransigenza sulla legalità e sull’etica pubblica”. Dunque, ha aggiunto Conte, “siamo progressisti nella misura in cui non ci appartiene la cultura della conservazione. Non ci appartiene la cultura reazionaria. Per noi essere progressisti non significa disquisire nei salotti buoni in algide conferenze, ma proteggere diritti e conquiste, e battersi per nuovi diritti”.

Così parlò insomma Conte, lo stesso progressista che si faceva fotografare insieme a Matteo Salvini nel 2018 per il lancio dei decreti Sicurezza. Lo stesso che difendeva sovranismo e populismo perché, diceva, “sovranità e popolo sono richiamati nell’articolo 1 della Costituzione italiana”. Sembrano passati decenni, invece è trascorso soltanto qualche anno. (Public Policy)

@davidallegranti