ROMA (Public Policy) – di Luca Iacovacci – Via libera dalla commissione Giustizia alla Camera al ddl che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano. La commissione ha votato, con il voto contrario di Lega e M5s, il mondato al relatore, Franco Vazio (Pd), di riferire in senso favorevole all’aula di Montecitorio sul provvedimento.
In sede di replica Vazio ha dichiarato come “nel corso delle audizioni tutte le forze di polizia abbiano chiesto la configurazione di un reato con dolo intenzionale” e la tortura è “un reato gravissimo, considerato addirittura imprescrittibile in alcuni paesi, che deve essere tenuto distinto dai maltrattamenti e dalle lesioni aggravate, anche sotto il profilo dell’accertamento”. Il provvedimento, quindi, è approdato in aula alla Camera per l’inizio della discussione generale, dopo che era stato licenziato da palazzo Madama il 5 marzo 2014.
COME È CAMBIATO IL DDL IN COMMISSIONE ALLA CAMERA
Innanzitutto a Montecitorio, secondo le riformulazioni del relatore, è arrivato l’ok alla proposta di modificare i commi 1 e 2 dell’art. 1 del ddl, che modifica il ‘nuovo’ art. 613-bis del codice penale (introdotto in prima lettura al Senato).
Così è prevista una pena che va da 4 a 10 anni di reclusione (e non più da 3 a 10) per “chiunque, con violenza o minaccia, ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche” per ottenere “informazioni o dichiarazioni, o infliggere una punizione, o vincere una resistenza, o in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”.
Inoltre viene prevista un’aggravante, con reclusione che va da 5 a 12 anni, qualora i fatti siano “commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio”.
Inalterate, invece, le norme che aumentano le pene in caso di lesione personale (per cui ‘sono aumentate’), lesione personale grave (aumentano di un terzo) e gravissima (aumentano della metà). É stato modificato nella sua formulazione precedente invece il nuovo art. 613-ter del codice penale che punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, come già previsto nella ‘versione Senato’, “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che istiga altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere tortura, se l’istigazione non è accolta o se è accolta ma il delitto non è commesso”, ad esclusione dei casi previsti dall’art. 414 del codice sull’istigazione a delinquere.
E, ancora, restano immutate le previsioni secondo cui se dal fatto deriva la morte “quale conseguenza non voluta” la pena è di 30 anni mentre qualora il colpevole cagioni in modo volontario il decesso “la pena è l’ergastolo”. E, se resta il fatto che “le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili”, salvo contro chi sia accusato di tale delitto e per provare la responsabilità penale, alla Camera è stato aggiunto l’art. 2-bis che intende raddoppiare i termini di prescrizione per il nuovo delitto di tortura, anziché prevederne l’imprescrittibilità. Accolto anche l’emendamento del governo che modifica l’art. 3 del ddl che modifica il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione.
Con la nuova formulazione approvata dalla commissione Giustizia alla Camera in nessun caso si può disporre “l’espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali o oggetto di tortura”. O che “possa rischiare di essere rinviato verso un altro nel quale non sia protetto dalla persecuzione o dalla tortura o da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani”.
Inalterata, invece, la norma sull’immunità diplomatica, secondo cui essa non può essere riconosciuta “ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale”. Nella sostanza, quindi, sono state confermate le previsioni secondo cui, come ha spiegato il relatore in sede di presentazione del provvedimento uscito da Palazzo Madama, sull’introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento nazionale essa “sia un reato comune”, e non un reato proprio del pubblico ufficiale, “caratterizzato dal dolo generico”.
E che, quindi, può “essere commessa da chiunque ed a prescindere dallo scopo che il soggetto ha eventualmente perseguito con la sua condotta. La commissione del reato da parte del pubblico ufficiale costituisce, invece che elemento costitutivo, un’aggravante del delitto di tortura”, ha ricordato ancora Vazio.
I PARERI DELLE ALTRE COMMISSIONI
Giunti i pareri favorevoli delle commissioni Bilancio e Affari sociali di Montecitorio, rispettivamente il 10 e il 24 febbraio scorso, l’ok dalla Affari costituzionali è arrivato ‘solamente’ il 18 marzo. È stato favorevole ma con molte ‘condizioni’.
Ovvero, in primis, valutare se la previsione della pena fissa di 30 anni di reclusione per l’aggravante, derivante dall’avere provocato la morte della persona offesa sia – dice la commissione – “ragionevolmente ‘proporzionata’, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico reato di tortura”.
Ma anche indagare sulla “congruità della pena di 30 anni di reclusione prevista in caso di morte quale conseguenza non voluta del reato di tortura rispetto alla sanzione base”, ovvero la reclusione da 4 a 10 anni. Infine, proprio durante l’ultima seduta della commissione Giustizia, il relatore ha dichiarato come, in merito alle osservazioni fatte dalla Affari costituzionali, esse “siano meritevoli di un’attenta considerazione e richiedano un approfondimento in vista dell’esame in assemblea”. (Public Policy) IAC