di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – È dunque iniziata la campagna elettorale estiva per le elezioni di settembre: si vota il 25. Una campagna elettorale rapida, che rischia di cristallizzare le posizioni politiche in campo. A partire dal ruolo di preminenza politica nel centrodestra di Giorgia Meloni, che svetta nei sondaggi e già deve fronteggiare le accuse di post-fascismo da parte degli avversari (Pd in testa). Le dimissioni di Mario Draghi e la caduta del suo Governo hanno fatto nascere una nuova linea di frattura: quella fra draghiani e antidraghiani.
C’è il rischio che la compagine draghiana assomigli tuttavia al bar di Star Wars. Bruno Tabacci la teorizza così: da Letta a Di Maio. Ricorda parecchio un nuovo campo largo, con tutte le difficoltà del caso; omogeneità politica, visione strategica. In più ci sono le incompatibilità personali e personalistiche: Carlo Calenda non va d’accordo con Matteo Renzi e viceversa. Entrambi però rivendicano l’appartenenza a una simbolica area Draghi. E in fondo la politica è fatta proprio così, di simboli e di rivendicazioni identitarie. Senz’altro il lavoro di Draghi merita una prosecuzione, bisogna capire ancora però chi può permettersi di intestarselo con credibilità. Senz’altro non chi il Governo l’ha fatto cadere: da Silvio Berlusconi a Matteo Salvini a Giuseppe Conte. Nel caso dei primi due il draghicidio assume connotati più problematici.
Mentre del M5s Draghi poteva strutturalmente non fidarsi di Conte e dei suoi, il caso del centrodestra cosiddetto di governo è diverso. In teoria Berlusconi e Salvini sono stati fra i migliori sostenitori, all’inizio, del Governo Draghi. Le cose sono molto cambiate negli ultimi mesi e quello che colpisce tutt’ora è la salvinizzazione di Berlusconi, che spera di fare così il presidente del Senato, recuperando dunque quello scranno perduto quasi dieci anni fa, nel 2013, quando il Cav decadde da senatore. Una Forza Italia salvinizzata potrebbe dunque essere un vantaggio per il centro alla ricerca di leader e voti in libera uscita dai partiti che non vogliono morire salviniani o meloniani? Bisogna capire come reagirà quell’elettorato distrutto che pensava di essere nel Ppe e si è trovato ai margini dell’impero europeo, con posizioni retroguardiste antidraghiane. Un paradosso per chi, Berlusconi, aveva contribuito a portare Draghi alla guida dell’Eurotower.
E nel vecchio campo largo? Enrico Letta in un’intervista a Repubblica ha chiuso l’alleanza con il M5s e con Conte: “Il percorso comune si è interrotto il 20 luglio e non può riprendere, è stato un punto di non ritorno. Lo avevo avvertito che non votare la prima fiducia sarebbe stato lo sparo di Sarajevo”. Ma il Pd non dovrebbe fare autocritica per aver cercato l’alleanza con il M5s per anni?, chiede il giornale di Maurizio Molinari. “Dal 2019 al 2022 ci sono stati tre anni importanti e utili, gli anni della pandemia, del Next Generation Eu, del Conte 2 e del Governo Draghi e sono stati possibili grazie a un lavoro comune tra Pd e M5s che ha favorito una evoluzione del Movimento”. A inizio legislatura, aggiunge il segretario del Pd, “L’idea che il M5s potesse sostenere un Governo Draghi sarebbe suonata come una bestemmia in Chiesa. Senza il Conte 2 avremmo avuto Salvini primo ministro dopo il Papeete. Anche oggi che il rapporto si è interrotto è evidente che non sono più i 5s del vaffa. Di questo percorso il Pd non può e non deve pentirsi”.
Per la verità c’è chi ancora ci spera. Da Andrea Orlando al solito Goffredo Bettini. È evidente che al Pd i 5 stelle servono, in virtù della legge elettorale rimasta in piedi nonostante le promesse non mantenute di un cambio di sistema dopo la vittoria del Sì al taglio del numero dei parlamentari. Non mancano i cortocircuiti: ci sono appena state le primarie del “campo progressista” in Sicilia per trovare il candidato governatore di una coalizione che non esiste più. Partecipavano anche Pd e 5 stelle e ha vinto l’europarlamentare del Pd Caterina Chinnici, che ha battuto Barbara Floridia del M5s e Claudio Fava del Movimento Cento Passi. Conte insiste, nonostante le porte in faccia a livello nazionale, insiste: “Prima di percorrere ancora la strada di un’alleanza progressista in Sicilia il Pd dovrà fare chiarezza sui suoi obiettivi e dire se l’agenda sociale e ambientale del M5s è la loro stessa direzione o se ormai i percorsi e i compagni di strada sono altri, in linea con gli insulti e le dichiarazioni di questi giorni. Per noi quello che succede a Roma succede a Palermo”. (Public Policy)
@davidallegranti