ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – La libertà di stampa non coincide con la semplice libertà di parola, perché il pluralismo ha un costo, specialmente se si vuole garantire qualità, contenuti e diffusione dell’informazione.
In un momento in cui i grandi network tendono ad integrarsi e diventare “colossi”, dopo aver da poco concesso lo sconto di 40 milioni di euro a Rai e Mediaset per gli affitti delle frequenze, alcuni emendamenti alla legge di Stabilità, attualmente in discussione alla Camera, provano giustamente a destinare le maggiori entrate dal canone Rai alle televisioni locali.
Ci sono varie proposte (80 milioni nel 2016 e 50 nei successivi o fino all’8% del canone). In ogni caso, con il “canone in bolletta elettrica” gli introiti saliranno e sarebbe sbagliato destinarli tutti a viale Mazzini, già ampiamente sovvenzionata da decenni.
Lo scopo di queste proposte (a firma Pd, Ap e CoR) è, invece, garantire più voci nel panorama radiotelevisivo italiano. In Italia ci sono oltre 600 tv locali, di cui 144 rischiano di scomparire, c’è battaglia politica e legale sui canoni da pagare per le frequenze e sull’uso delle stesse, mentre la telefonia mobile si sta progressivamente mangiando spicchi di etere.
Nelle emittenti locali, inoltre, lavorano 2500 giornalisti (in Rai sono 2000) e 6000 dipendenti, ma ogni decisione, finanziamento o sconto da anni va a sovvenzionare sempre i soliti noti. È importante garantire una Rai in salute, certo. Ma sappiamo da tempo che non è una questione di soldi, ma di politica.
Soprattutto, in un momento in cui accelera la velocità di fruizione delle notizie e di standardizzazione del messaggio, è ancora più importante garantire un reale pluralismo degli editori. Sarebbe un errore pensare che l’informazione sia un diritto assoluto o possa essere gratis. C’è una buona occasione. Sintonizziamoci. (Public Policy)
@ecisnetto