Ciani, De Luca e la ‘nuova’ corrente: nel Pd la pace è finita?

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Articolo 1 si scioglie e rientra nel Pd; Italia viva rilancia e chiama a raccolta i riformisti rimasti nei dem, i cosiddetti renziani superstiti. Nel fine settimana Napoli ha ospitato, in contemporanea, le assemblee nazionali dei bersian-speranziani e dei renziani. “Costruiamo insieme un nuovo Pd, questo è l’obiettivo. Abbiamo fatto una scelta molto chiara e netta di cui siamo orgogliosi: con Elly Schlein per costruire un nuovo Partito democratico che parta dalla questione sociale, dal lavoro”, ha detto Roberto Speranza prima di ricevere il saluto della segretaria del Pd, arrivata a Napoli per omaggiare la sinistra che è tornata a casa. “Chi è riformista nel Pd si sente fuori posto, un pesce fuor d’acqua. Amici riformisti, che ci state a fare?”, ha detto Matteo Renzi nel suo intervento rivolgendo un appello ai suoi ex compagni di viaggio.

C’è effettivamente una certa insoddisfazione fra i riformisti del Pd. Un’insoddisfazione che non è ancora passata dal privato al pubblico, a parte qualche caso. Pina Picierno, vicepresidente del parlamento europeo, già aveva mal digerito la scelta di nominare Paolo Ciani (leader di Demos, contrario all’invio di aiuti militari all’Ucraina, non intenzionato a iscriversi al Pd, critico sulla linea del Pd sulla guerra) come vicecapogruppo del Pd alla Camera. Domenica ha replicato con ironia (“Ci tocca anche leggere di associazioni che dovrebbero rappresentare i partigiani che si schierano contro la resistenza. Veramente il mondo alla rovescia”) a una dichiarazione della segreteria dell’Anpi (“Leggiamo con sconcerto le dichiarazioni di Draghi sulla guerra. Affermare che ‘non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e gli alleati ad assicurare che l’Ucraina vinca questa guerra’ vuol dire vanificare qualsiasi tentativo di soluzione diplomatica”): un modo per segnalare la propria irritazione anche ai vertici del Pd, che mandano segnali ambigui.

Insomma, la pace è finita nel Pd? Lunedì si sarebbe dovuta tenere – poi la morte di Silvio Berlusconi ha portato i dem ad annullare tutti gli impegni – la direzione nazionale, preceduta nei giorni scorsi dai soliti tuoni e fulmini, stavolta per il caso Ciani e per il siluramento di Piero De Luca da vicecapogruppo alla Camera, che non è stato preso bene dal padre Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania (“In politica, come nella vita, non c’è nulla di più volgare dei radical-chic senza chic”, ha scritto sui social). Inoltre, la sconfitta ai ballottaggi ha riaperto il dibattito interno, finora congelato. Non solo la sconfitta, per la verità, ma, appunto, anche alcune scelte della segretaria, che hanno fatto amareggiare non poco l’opposizione interna. L’agitazione è consistente, anche se bisogna ricordare che prima di una direzione del Pd sono sempre tuoni e fulmini e spesso poi non succede niente. Comunque, la tensione è destinata a durare a lungo, almeno fino alle elezioni europee. Tra l’altro c’è da comporre le liste ed è già tutto un mulinare di nomi. Paolo Gentiloni, Nicola Zingaretti, Enrico Letta, Dario Nardella. Impossibile che ci stiano tutti, anzi qualcuno rimarrà fuori.

Stefano Bonaccini dovrebbe dare vita alla sua corrente, con un’iniziativa pubblica a luglio. Non tutti però sono d’accordo con la nascita dell’ennesima componente del Pd, quella dei bonacciniani. Come Matteo Orfini, che in una recente riunione con Bonaccini, Graziano Delrio, Lorenzo Guerini, Piero Fassino, ha espresso tutte le sue perplessità. I riformisti tuttavia si dovranno inventare presto qualcosa. Anche perché in alcune zone d’Italia Renzi sta per lanciare la sua controffensiva. Specie in Toscana, dove si vota fra un anno e mezzo (ma prima ancora c’è Firenze, nel 2024).

Dice a Public Policy Stefano Scaramelli, vicepresidente del Consiglio regionale toscano, capo dei renziani in Toscana: “Mi auguro che quanto successo a Siena, dove come Italia viva avevamo prospettato al Pd una intesa politica progressista, riformista, alternativa alla destra, proposta rifiutata dal Pd, sia stata di lezione. A me quella sconfitta ha fatto male e soffrire”. In vista delle elezioni comunali di Firenze, dice ancora Scaramelli, “mi auguro si possa partire da lì, dalla nostra lungimiranza che spero venga accolta dalla lungimiranza altrui. Una vittoria a Firenze metterebbe le basi per consolidare il successo l’anno successivo in Regione Toscana. In alternativa, il destino è segnato. A noi il compito di assumersi responsabilità che altri forse hanno paura di assumere”. Non è ancora chiaro, tuttavia, se il Pd preferirà di nuovo Calenda a Renzi. (Public Policy)

@davidallegranti