(Public Policy) – Roma 8 aprile – Pier Luigi Bersani, in una
lettera a Repubblica, ridefinisce i contorni della proposta
politica avanzata – scrive il segretario Pd – “assieme al
mio partito”: governo di cambiamento e convenzione per le
riforme.
Il leader democrat insiste, prendendo spunto
dall’editoriale domenicale di Eugenio Scalfari, che gli
“rimprovera” in qualche modo “la tenacia con cui Bersani
ripropone la sua candidatura”. Osservazione “inserita in un
contesto amichevole e rispettoso”, ammette il segretario,
che ringrazia il fondatore di Repubblica mentre respinge le
critiche di tutt’altro registro di questi giorni, definite
da Bersani “aggressive e talvolta oltraggiose”.
“Ripeto quello che ho sempre detto: io ci sono, se sono
utile. Non intendo certo essere d’intralcio”, rimarca il
segretario. Nessun “puntiglio bersaniano” insomma. “Esistono
altre proposte che prescindono dalla mia persona? Nessuna
difficoltà a sostenerle”, spiega il premier pre-incaricato.
“Ci vuole un governo certamente”, è il ragionamento di
Bersani ma non un esecutivo “che viva di equilibrismi, di
precarie composizioni di forze contrastanti, di un
cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico”.
Quindi no ad ogni ipotesi di “governissimo” con il Pdl,
altrimenti – è l’amara constatazione del leader Pd –
arriveranno giorni peggiori.
La linea del segretario non cambia, nessun piano b che
precipiti verso il voto anticipato, in caso di fallimento.
Ma è proprio sul ritorno alle urne che il partito potrebbe
implodere. I giovani turchi, da Stefano Fassina a Matteo
Orfini, e i bersaniani di ferro, da Davide Zoggia a Roberto
Speranza, non temono le elezioni ma nel Pd dalle mille
correnti s’ingrossano quelle del non-voto.
Il dialogo con il Pdl non deve essere più un tabù e non
solo per l’elezione del successore di Giorgio Napolitano, al
Quirinale, e pertanto per la scelta di un presidente di
“garanzia”. Ma è proprio il nuovo governo il “punto di
caduta” che allontana e rischia di far saltare i “ponti”.
Lo stesso faccia a faccia tra Bersani e Silvio Berlusconi
potrebbe slittare ancora o non tenersi affatto. E la
manifestazione contro la povertà promossa dal Pd, in
concomitanza con quella del Pdl a Bari, sabato prossimo, non
rappresenta certo un buon viatico per il confronto.
Sempre dalle colonne di Repubblica, oggi torna a parlare
anche Walter Veltroni con un appello all’unità per evitare
scissioni e “salvare” il partito. L’ex segretario invita
ad uscire dallo “scontro berlusconismo-antiberlusconismo”
e ad entrare piuttosto in quello tra “conservatori contro riformisti”.
Per Veltroni “gli avversari politici non sono mai, se non
nelle dittature, nemici da eliminare”. Per l’ex segretario
dei democratici, insomma, occorre “alzare lo sguardo”,
“ridimensionare correnti e gruppi di potere vecchi e nuovi”
e “occuparsi della vita reale delle persone”. Quella che si
apre oggi è dunque l’ennesima settimana di passione per la
nascita del nuovo esecutivo, che probabilmente vedrà la luce
solo a “giochi fatti” per il Colle più alto.
E mentre il Movimento 5 stelle minaccia di “occupare”
l’aula della Camera e del Senato se non venissero avviate le
commissioni, domani si riunirà l’assemblea dei gruppi
parlamentari del Pd, dove potrebbe saldarsi l’asse sempre
più trasversale del non-voto, lasciando “solo” il
segretario. La fuga in avanti del sindaco di Firenze Matteo
Renzi – governo con il Pdl o voto – non è più una voce
isolata, fuori dal coro.
Si prepara intanto a lanciare la sua ‘opa’ sul Pd, il
ministro tecnico uscente, Fabrizio Barca: “Non ambisco a
fare il segretario del Pd, ambisco a essere nel gruppo
dirigente”, dice lui. Sarà l’anti-Renzi? “Sarebbe
pretestuoso – si schermisce Barca, in una intervista – non
avendo ancora detto le mie intenzioni”. E con lui c’è chi
giura che anche la fusione con Sel non sarebbe più tanto
peregrina. (Public Policy)
FEG