Resocónto

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ROMA (Public Policy) – di Gaetano Veninata – “So che gli stenografi sono professionalmente eccelsi, ma vorrei pregarli di seguire ora il mio discorso con attenzione perché, certo, parlo ai senatori che mi usano la cortesia di stare seduti, ma parlo affinché resti tutto agli atti, perché quando, inevitabilmente, accadrà quello che io dirò, non voglio che qualcuno venga a dire che non lo sapeva o che nessuno glielo aveva detto”.

Se talvolta la qualità del discorso parlamentare langue (ad esempio ieri Airola dei 5 stelle, a leggere i resoconti del Senato, si chiedeva in aula come mai il presidente di turno – Gasparri – non andasse “a fare in culo”, sic), talaltra assume toni dostoevskijani.

Tipo quando interviene Nitto Palma, senatore di Forza Italia, avvocato, presidente della commissione Giustizia. Il tema è serio, l’omicidio stradale. Un ddl approvato ieri, sul quale il governo ha messo la questione di fiducia, facendo innervosire le opposizioni.

Il discorso di Palma – per gli amanti dell’ars oratoria – vale un resocónto:

“Tutta questa legge nasce, diciamocelo francamente, dalla sfiducia che i magistrati si sono guadagnati nell’applicazione della legge perché l’attuale legge per l’omicidio colposo commesso sotto gli effetti degli stupefacenti o dell’alcol prevede una pena da tre a dieci anni. Il che equivale a dire che i giudici ben potevano infliggere pene di sei, sette o otto anni di galera invece di partire sempre e comunque (o quasi sempre e comunque) dal minimo della pena”.

“Quindi il legislatore, non avendo fiducia nel giudice, aumenta vertiginosamente le pene per l’alcolizzato con un tasso alcolico superiore a 1,5 grammi-litro da otto a dodici anni e, per gli altri, da cinque a dieci anni. Ma ciò che è più grave, signora presidente, signori senatori – vi invito a correggere la norma, siete ancora in tempo – è che il legislatore della Camera dei deputati stabilisce in termini chiari che la pena non può essere comunque inferiore ad anni cinque, dimenticandosi che secondo la giurisprudenza costante della Corte costituzionale la quantificazione della pena spetta al giudice, perché egli ha l’obbligo di adeguare la sanzione al fatto reato. Stabilire che la pena non può comunque essere inferiore a cinque anni è un’illecita invasione nel campo della magistratura. Nel sistema penale non vi è una sola norma che preveda una corbelleria del genere“.

“Domani Ivan Ivanovic o Gennaro Esposito (poco mi cambia) ammazzeranno da ubriachi una persona, si daranno alla fuga e verranno arrestati. In sede processuale, magari in giudizio direttissimo, l’avvocato eccepirà in maniera corretta l’incostituzionalità della norma con accettazione da parte del giudice, sospensione del procedimento e tutto ciò che ne conseguirà. In quel momento le associazioni delle vittime capiranno di essere state prese in giro”.

“Ancora, desidero rivolgermi a voi, membri del Senato che siete o dovreste essere, per ragioni di età, il portato della saggezza. Ipotizziamo che un ragazzo di diciotto anni appena patentato, per un’imperizia generica (non corre, non fa inversione di marcia, non ha bevuto, non si è fumato uno spinello, va piano e non effettua sorpassi), ha la sventura di causare una tragedia (la morte di una persona è infatti sempre e comunque una tragedia) e, spaventato, si dà alla fuga per poi magari ritornare; onorevoli colleghi, ve la sentite di scrivere una norma con cui si impone che a quel ragazzo di diciotto anni siano inflitti cinque anni di carcere, rovinandogli completamente la vita per una colpa generica?”.

E infine: “Che senso ha dire che la pena è da cinque a dieci anni se è avvenuta un’inversione di marcia in prossimità di un dosso o di un incrocio? E se è avvenuta su un rettilineo, mentre un’altra macchina era in posizione di sorpasso, la pena è da due a sette anni invece che da cinque a dieci? Ma insomma, santiddio! Quando si legifera si fa attenzione alle norme e al sistema, cercando di risolvere i problemi che un fenomeno può aver creato”. (Public Policy)

@VillaTelesio