Lo Spillo
di Enrico Cisnetto

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ROMA (Public Policy) – Unicuique suum, a ciascuno il suo. Il tempo di applicazione di questo principio è forse arrivato anche per le partecipate pubbliche degli enti locali, da sempre, anche se non in tutti i casi, irresponsabile strumento di politica clientelare.

Il governo sta infatti lavorando ad un decreto legislativo che, in attuazione della delega sulla riforma della pubblica amministrazione, riscriva le regole in materia di società partecipate dagli enti locali.

Come ben documentato in esclusiva da Public Policy, tra le tante novità si prevede che in caso di “buco finanziario” le perdite dovranno essere caricate sui bilanci degli enti locali controllanti, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Potrebbe essere la fine della malsana usanza di società in costante perdita – quasi un terzo delle 7.340 partecipate è in rosso, con passività stimabili in 2,2 miliardi di euro l’anno – che la politica locale utilizza come bacino di consenso.

Tra i tanti errori del nostro malinteso federalismo, infatti, c’è una libertà di spesa per gli enti territoriali totalmente scollegata dalle entrate fiscali. In pratica, i deficit impressionanti di Regioni e Comuni sono coperti con i trasferimenti dello Stato (e relativi aumenti di tasse), senza che nessuno sia mai responsabile.

Inoltre, si distingueranno i virtuosi dai viziosi, perché qualche esempio positivo di partecipate con bilanci in utile e strategie industriali definite, nonostante tutto, non manca (A2A, Acea), ma troppo spesso viene buttato insieme all’acqua sporca. La Regione siciliana, per esempio, ha più di 30 partecipate, quasi tutte in rosso.

C’è però il caso, più unico che raro, di Sicilia Patrimonio Immobiliare, che ha appena deliberato la distribuzione ai soci degli utili dell’esercizio finanziario 2014. Nonostante gli ultimi anni si siano chiusi costantemente in positivo la Sicilia ha comunicato che non intende rinnovare i contratti con la società, che andranno a scadenza il prossimo 6 dicembre.

In questo modo, oltre a sopprimere un soggetto in grado di creare profitti, si dissiperebbe un patrimonio di competenze acquisito negli anni per la gestione e la valorizzazione degli immobili che le istituzioni regionali non possiedono. Da una parte, per esempio, Spi-Sicilia Patrimonio Immobiliare Spa (75% Regione siciliana) ha applicato un sistema di calcolo dei canoni concessori sui beni demaniali che ha portato ad una crescita degli incassi del 208% e, cosa più unica che rara, alla distribuzione di dividendi. Dall’altra, la Sicilia ha incredibilmente venduto un inalienabile terreno appartenente all’area archeologica della Valle dei Templi di Agrigento.

Ora, è ovvio che per tagliare la giungla delle partecipate locali sia necessario agire con determinazione, ed è quindi positivo introdurre criteri di responsabilizzazione. Ma sarebbe anche importante tutelare e sostenere quei (rari) casi virtuosi. Perché ad ognuno finalmente sia dato il merito o il demerito delle proprie azioni. (Public Policy)

@ecisnetto