di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – Chiedersi chi abbia ragione tra Meloni e Macron è assai poco utile per comprendere e risolvere il contrasto, ormai sfociato in sfida aperta, tra l’Italia e la Francia sul tema dell’accoglienza e della ricollocazione dei richiedenti asilo e delle relative incombenze giuridiche (esame della richiesta di protezione) ed economiche (integrazione o rimpatrio). È in primo luogo inutile perché Meloni e Macron, nella sostanza, hanno entrambi torto: l’una per avere lasciato esplodere nell’Esecutivo la torcida sovranista contro la Francia, proprio nel momento in cui questa prestava aiuto all’Italia, l’altro per avere contraccambiato l’affronto con la stessa moneta, per rintuzzare la destra lepenista. Soprattutto, questo interrogativo sul torto e la ragione è inutile perché nella gestione di questo dossier – proprio per la sensibilità del tema, ad altissimo gradiente simbolico – a determinare gli esiti di qualunque negoziato sono i rapporti di forza tra i Paesi membri e di ciascuno di essi con le istituzioni dell’Ue.
Questa considerazione, però, dovrebbe suggerire all’Esecutivo italiano di seguire una via del tutto diversa da quella seguita fino a questo momento e di abbandonare l’illusione che basti dimostrare un atteggiamento prudente sulla gestione dei conti pubblici per potersi permettere in Europa sull’immigrazione retoriche scioviniste e vittimiste, destinate ovviamente a produrre reazioni dello stesso segno in tutti gli altri Paesi accusati, peraltro ingiustamente, di risparmiare quattrini ed eludere responsabilità a spese dell’Italia.
È sufficiente vedere il saldo dell’operazione Ocean Viking, con 234 richiedenti asilo fatti sbarcare forzosamente in Francia a fronte di oltre 3mila, già presenti in Italia, che non saranno più trasferiti in Francia sulla base dell’accordo di solidarietà stipulato nel giugno scorso in Lussemburgo tra ventuno Paesi Ue e tre Paesi terzi.
L’Esecutivo Meloni non sembra essere consapevole di tutte le debolezze italiane su questo tema, che si aggiungono alle altre, sempre rinfacciabili e spesso rinfacciate, sul sostegno straordinario che il nostro bilancio pubblico ha ricevuto e riceverà con fondi europei nell’ambito del Next Generation Ue.
La prima debolezza è quella politica. Roma esige dall’Ue un meccanismo di solidarietà che però esclude per i Paesi amici, retti da Governi sovranisti e ostili a qualunque “europeizzazione” della gestione del fenomeno migratorio. Non si può esigere da Macron quel che non solo non si esige da Orbán, ma si sostiene, in linea con lui, rappresenterebbe una violazione di una prerogativa sovrana degli Stati membri. Nella condotta dell’Esecutivo italiano non è solo ravvisabile una incoerenza logica, ma è evidentemente percepibile, da parte dei Paesi con Governi non sovranisti, il pericolo che dietro la richiesta di solidarietà si nasconda l’esatto contrario, cioè il tentativo di indebolire con uno scaricabarile permanente i Paesi considerati nemici, a vantaggio di quelli considerati alleati su di una piattaforma anti-Ue. I fenomeni migratori sono già una grana complicata, ma né Parigi, né Berlino, né Bruxelles possono accettare che diventino i cavalli di Troia del nazionalismo.
La seconda debolezza riguarda i numeri del fenomeno che l’Italia deve affrontare e che ha numeri molto significativi e caratteristiche molto particolari – considerando la peculiarità degli arrivi via mare e le responsabilità che esse impongono ai paesi del Mediterraneo – ma non abnormi rispetto a quelli di altri Paesi europei. Continuare a descrivere la nostra situazione come fuori controllo – anche se per il numero di rifugiati e richiedenti asilo per abitante l’Italia non è affatto ai primi posti nell’Ue – può solo suscitare negli altri Stati l’impressione che, pure sul tema migratorio, il nostro Paese usi il metodo di addossare le proprie inefficienze a responsabilità altrui e i problemi interni a cause sempre e rigorosamente esterne. Allo stesso modo, non ha senso mentire sull’emergenza umanitaria degli sbarchi, presentata come una via alternativa di immigrazione irregolare, quando secondo gli stessi dati del ministero dell’Interno, quasi la metà dei richiedenti asilo (il 46%) si vede riconosciuta dalle commissioni territoriali lo status di rifugiato, la protezione speciale o quella umanitaria (dossier Viminale, pag. 49). Il tutto al netto dei ricorsi giudiziari contro i provvedimenti di diniego che vengono accolti in percentuale tutt’altro che irrilevante.
La terza debolezza dell’Italia riguarda l’incomprensione o la rimozione dell’oggettivo trade-off tra la ricerca di un terreno di cooperazione e collaborazione istituzionale con i Paesi europei e le istituzioni dell’Ue e l’utilizzo del tema migratorio in modo ideologicamente propagandistico e quindi irreparabilmente divisivo. La destra italiana non sembra avere chiaro che la rottura dell’Italia con l’Europa isola la prima e non la seconda. Il quadro normativo che l’Italia ha di fronte è molto rigido, sia rispetto al tema della responsabilità dell’Italia per le attività di soccorso, che non possono essere subordinate al perseguimento di obiettivi politici (quale, ad esempio, la redistribuzione degli sbarcati), sia rispetto alla possibile modifica del Regolamento di Dublino, che avrebbe teoricamente bisogno del sostegno di tutti i Paesi con Governi non sovranisti per sovrastare la minoranza di blocco dei Paesi sovranisti.
L’attuale accordo per la ricollocazione dei richiedenti asilo, oggi disdettato dalla Francia, è un patto politico, stipulato nella forma di una dichiarazione congiunta dei ministri competenti in materia e non è giuridicamente vincolante. Visto che il Regolamento di Dublino è rigido nel prevedere le responsabilità degli Stati di primo ingresso dei richiedenti asilo, oggi la solidarietà passa dalla flessibilità e la flessibilità dalla disponibilità reciproca dei Paesi Ue a non fare dell’immigrazione la benzina del motore politico nazionalista del continente.
Di tutto questo l’Esecutivo Meloni non pare consapevole, impegnato com’è a regolare i propri conti esterni e i propri rapporti esterni come se il dossier migratorio del Governo fosse solo una prosecuzione della campagna elettorale del ‘destra-centro’. (Public Policy)
@carmelopalma