di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Il Governo Meloni ha da tempo scommesso su Donald Trump. E non solo perché l’Italia non può permettersi di restare senza un rapporto solido con gli Stati Uniti a prescindere dall’inquilino della Casa Bianca, sia esso Democratico o Repubblicano. Per un pezzo consistente del Governo, Trump è l’avanguardia della nuova destra mondiale, l’alfiere di un movimento globale. Non è sovranista, non è conservatore. È qualcosa di più.
Matteo Salvini è il fan più entusiasta dell’Amministrazione Usa, sta anche cercando di sviluppare un rapporto di amicizia politica con il vicepresidente JD Vance, di recente in visita istituzionale in Italia. Giorgia Meloni, un po’ per non farsi superare a destra, un po’ perché il trumpismo è in lotta con avversari comuni (il politicamente corretto, il wokismo), un po’ perché anche l’Europa – non solo l’Italia – ha bisogno del supporto statunitense, nonostante, tutto, ha deciso di diventare il punto di riferimento politico-istituzionale europeo fra Usa e Unione europea. Non è ancora chiaro se ci sia riuscita o se ci riuscirà – vediamo se l’incontro ufficiale fra Trump e noialtri “scrocconi” europei si farà e dove – ma intanto qualsiasi rapporto più o meno privilegiato rischia di essere intaccato dalla bassa performance del presidente Usa a casa propria.
Dopo tre mesi dall’insediamento che sembrano durati anni, il consenso di Trump inizia a erodersi. Secondo un sondaggio ABC News/WaPo/Ipsos, il 39 per cento degli intervistati ha dichiarato di approvare il modo in cui Trump sta gestendo il suo lavoro di presidente, con un calo di 6 punti percentuali rispetto a febbraio, mentre il 55 per cento ha dichiarato di disapprovare. Il precedente minimo di approvazione per un presidente a 100 giorni di mandato o quasi, in sondaggi risalenti al 1945, era il 42 per cento di Trump nel 2017. Chi ha scommesso su Trump dunque potrebbe aver mal riposto la propria fiducia.
Il problema principale, per ora, per gli statunitensi, sono i dazi, spiega il Wall Street Journal. Dazi “che in genere confondono le persone”, secondo un sondaggio CAPS/Harris Poll, realizzato il 9 e 19 aprile: “L’84% degli intervistati si dichiara favorevole al libero scambio, ma il 66% concorda sul fatto che ‘i dazi sono importanti per proteggere i posti di lavoro nel nostro Paese oggi’. Un modo per conciliare la tensione tra queste posizioni sarebbe quello di utilizzare i dazi statunitensi come incentivo per gli altri Paesi a ridurre i propri. In quest’ottica, i dazi non dovrebbero diventare una misura permanente, ma essere considerati un male necessario per impedire ad altri paesi, in particolare alla Cina, di approfittare degli americani. È qui che Trump e l’opinione pubblica divergono: il presidente ottiene solo il 45% di approvazione per i suoi piani sui dazi e il 41% per i suoi sforzi volti a frenare l’inflazione. Deve migliorare questi dati, altrimenti la sua presidenza è a rischio”.
La questione dazi, peraltro, preoccupa anche gli italiani, come emerge da un recente sondaggio Ipsos: “La decisione di Trump di imporre dazi commerciali crea una preoccupazione diffusa e trasversale anche in Italia, dove il 34 per cento si dichiara molto preoccupato e il 36 per cento abbastanza, mentre solo il 18% esprime poca o nessuna preoccupazione. L’opinione prevalente tra gli italiani è che i dazi non porteranno benefici a nessuno; infatti, il 58 per cento ritiene che guerra commerciale danneggerà tutti in egual misura. Solo una minoranza (15 per cento) crede che, nonostante le dichiarazioni di Trump, gli Stati Uniti possano trarne benefici concreti”. Stante l’imprevedibilità trumpiana il rischio è che dopo i dazi possa uscirsene con un’altra issue così polarizzante da aumentare tensioni e preoccupazioni.
“Trump ha cercato di realizzare in 100 giorni il suo programma elettorale, creando così disordine”, ha osservato su Rete 4 Lorenzo Castellani (Luiss). Viene dunque da chiedersi che c’è da aspettarsi per i successivi 100 giorni. Già questi sembrano durati un’eternità. (Public Policy)
@davidallegranti





