Dl Pa, le novità dopo la Camera: dal trattamento accessorio ai rifiuti

0

di Marta Borghese

ROMA (Public Policy) – L’aula della Camera ha dato il primo via libera al dl Pa, il decreto che reca “disposizioni urgenti in materia di reclutamento e funzionalità delle pubbliche amministrazioni” approvato a febbraio dal Cdm e trasmesso al Parlamento il 14 marzo scorso.

Va convertito entro il 13 maggio e, già nell’aula di Montecitorio, il Governo ha posto la questione di fiducia.

Sono numerose e profonde, tuttavia, le novità apportate al testo durante l’iter nelle commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera, dove il provvedimento è passato da 22 a 49 articoli, assumendo il carattere di un decreto finalizzato a rispondere a numerose e variegate esigenze normative. Il conferimento del mandato ai relatori Paolo Emilio Russo (FI, per la I), Tiziana Nisini (Lega, per la XI) e Marta Schifone (FdI, per la II) è arrivato nella tarda serata di giovedì scorso, al termine di una due giorni di maratona per l’approvazione degli emendamenti conclusa in nottata.

IL NODO DEL TRATTAMENTO ACCESSORIO 

Era uno dei punti più dibattuti del dl Pa che, con la riformulazione degli emendamenti bipartisan annunciata dal ministro per la Pa Paolo Zangrillo e approvata dalle commissioni, ha trovato solo una parziale composizione.

In particolare, infatti, ai fini dell’armonizzazione degli stipendi, il provvedimento originario interveniva con uno stanziamento di 190 milioni di euro per l’incremento del trattamento accessorio dei dipendenti dei ministeri e della presidenza del Consiglio dei ministri, escludendo le funzioni locali. Un punto su cui numerosi soggetti auditi, dall’Anci all’Upi, avevano evidenziato il rischio di aumento del gap salariale tra le Pa, con conseguente possibile fuga dagli enti locali.

La riformulazione approvata prevede che “le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni”, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio, “possano incrementare” il “Fondo risorse decentrate destinato al personale in servizio, sino al conseguimento di una incidenza delle somme destinate alla componente stabile” del fondo stesso, “maggiorate degli importi relativi alla remunerazione degli incarichi di posizione organizzativa, sulla spesa complessivamente sostenuta nell’anno 2023 per gli stipendi tabellari delle aree professionali, non superiore al 48%”.

Una proposta su cui è arrivato il netto rifiuto delle opposizioni, che hanno contestato sia il differente trattamento tra dipendenti di enti più o meno virtuosi, cioè in equilibrio di bilancio o meno, sia il fatto che si tratti di una norma a costo zero, lasciata all’arbitrarietà (e a carico) dei singoli enti.

continua – in abbonamento

@BorgheseMarta