di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – “Autonomi, partite Iva e pmi”, chiede la risoluzione di maggioranza approvata ieri alla Camera, dovranno ricevere ulteriore sostegno al reddito. Di fronte alla recrudescenza del virus, alle nuove chiusure forzate e al nuovo stop dell’economia, la legge di Bilancio (nata vecchia e rimasta monca e “salvo intese”) tornerà all’esame del Cdm, forse condita da un nuovo scostamento tra 5 e 10 miliardi. Tuttavia, almeno stavolta anche dalle parti del centrosinistra la priorità (o almeno una delle) potrebbe essere il mondo dei “non garantiti”, quelli che rischiano in proprio. Sarebbe insolito per una parte politica che ha sempre strizzato l’occhio verso l’altra parte, ma siamo in una situazione esplosiva, di fronte ad una spaccatura della società che sarebbe incosciente non percepire.
Se la frattura tra “garantiti” e “non garantiti” in era ante-Covid era profonda, adesso è una voragine. Chi era garantito prima ora lo è anche di più. Chi lo era poco, adesso non lo è per niente. Le reazioni sideralmente opposte alle nuove restrizioni lo spiegano bene: pensionati, subordinati del pubblico, parte dei lavoratori delle aziende private (specie se grandi e forti o con partecipazioni pubbliche), sentendosi tutelati concordano sulla nuova stretta e, anzi, preoccupati per la diffusione del virus, sarebbero favorevoli ad un nuovo lockdown. Dall’altra il mondo dei non garantiti e dei settori più colpiti, come turismo, commercio, palestre, ristorazione, eventi, è in ebollizione. Tra piccoli imprenditori, partite Iva, autonomi, lavoratori precari, a chiamata, in nero, in molti sono al limite dello sconforto e della disperazione. Qualcuno si prepara a chiudere bottega. Altri arrivano a dire che “è meglio rischiare di ammalarsi di Covid che morire sicuramente di fame”.
I non tutelati giudicano inique le chiusure selettive, non credono agli aiuti promessi e temono di veder precipitare il loro tenore di vita. Per cui sono scesi in piazza, la maggior parte pacificamente, anche se qualcuno è finito nel vortice della violenza. Tuttavia, è evidente. Questa pandemia viene vissuta in modo diverso da un custode dipendente di un museo ora chiuso rispetto ad una guida turistica senza turisti; da un insegnante di educazione fisica del liceo in smartworking rispetto a un istruttore di nuoto con la piscina chiusa; tra chi ha una pescheria e chi un ristorante di pesce; tra un dipendente Alitalia e uno dell’indotto di Ryanair, tra un pensionato e un giovane lavoratore in nero. Tra chi non può essere licenziato (almeno fino al 31 marzo prossimo) e chi ha già perso il lavoro (da marzo scorso). E questo lo certifica bene l’Acri, secondo cui nel 2020 il risparmio è cresciuto dell’8% (i depositi bancari hanno raggiunto il record di 1.600 miliardi) ed è anche salita del 3% (dal 55% al 58%) la percentuale di chi riesce a mettere i soldi da parte, mentre un terzo (il 30%) di italiani non ha più risorse a cui attingere.
Insomma, c’è una netta divisione tra due mondi, quello dei “non garantiti” opposto a quello dei “garantiti”. Una antinomia che si replica in modo assurdo, stringendo l’inquadratura, anche tra coloro che sono rimasti senza reddito. Per esempio, c’è chi percepisce la cassaintegrazione e chi invece non ha diritto ad alcun bonus. Oppure, ci sono settori che possono attingere ai “ristori” e altri che ne sono esclusi. Un Paese separato prima, spaccato adesso, che certamente la pandemia non ha unito. Ma così diviene più difficile anche condividere, o almeno adeguarsi, a misure sanitarie anti-Covid restrittive della libertà personale. I canti dal balcone, gli slogan, la solidarietà di primavera oggi suonano distanti, tanto che qualcuno spacca le automobili degli infermieri, gli “eroi” di marzo e aprile.
Se la preoccupazione per la malattia rimane per chiunque una priorità, non lo è per tutti allo stesso modo. Coloro che hanno il reddito intatto possono infatti preoccuparsi al 100% della salute e restare tranquillamente a casa. Gli altri no. Se prima della pandemia queste ferite erano sopportabili, o comunque sopportate (ci si limitava ad accuse reciproche tra “dipendenti fannulloni” e “autonomi evasori”) adesso rischiano di essere letali. Si allargheranno le sacche di marginalità e disagio, cresceranno polveriere di proteste sempre più nervose, esploderà il risentimento sociale. E fomentare illusioni non aiuta (“nessuno perderà il lavoro”, “aiuteremo tutti”, “il vaccino entro dicembre”). Saranno mesi difficili, verso un futuro incerto. E l’Italia, dimidiata tra “garantiti” e “non garantiti”, spezzata in due elementi antitetici, come fossero acqua fredda e olio bollente, si è seduta su una bomba, politica e sociale, pronta ad esplodere. Le prime scintille le abbiamo già viste. Quello che potrà succedere a pandemia finita non lo sappiamo. Purtroppo, dobbiamo temerlo. (Public Policy)
@m_pitta