di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Dopo amori gay, adozioni e uteri in affitto, il corpo del dibattito politico prende la forma della pregnante Giorgia Meloni. Si può discutere sul ruolo delle donne e delle madri, ma sarebbe ipocrita dimenticare quanto, da sempre, il corpo è strumento della politica e dei politici.
Al paternalismo non richiesto di Bertolaso, che non voleva Meloni nemmeno come vicesindaco (“deve fare la mamma, non la campagna elettorale”), la nuova Sora Tentenna ha replicato ufficializzando la propria candidatura al Campidoglio, annunciando tra un karaoke e un “viva la mamma”, di voler diventare “come la Lupa capitolina”.
Un’abile mossa che non deve stupire, perché sono secoli che il corpo viene utilizzato per acquisire consensi, combattere battaglie, sollevare temi e discussioni. Per esempio, se anche Meloni non supererà Bertolaso nelle urne, avrà comunque aperto uno squarcio culturale in molti ambienti di centrodestra, a cominciare da quelli nella mente di Bertolaso. E, nondimeno, avrà sfidato in chiave pre-maman Berlusconi per la leadership del centrodestra.
Allo stesso modo, con il contraddittorio annuncio della propria gravidanza extramatrimoniale al Family Day, aveva scoperchiato l’ipocrisia maschilista di certa sinistra. Insomma, la gravidanza è politica. E non c’è bisogno di tornare alle dinastie regnanti che sancivano con la nascita di figli la creazione di nuovi imperi.
Con un ardito paragone, si può citare Berlusconi che nomina ministra la puerpera Prestigiacomo; Zapatero che spedisce la ministra Chaon a visitare le truppe in Afghanistan al settimo mese, o Madia nominata titolare della Pubblica amministrazione a 30 giorni dal parto. Poi, certo, quello della bellezza fisica dovrebbe essere discorso a parte, altrimenti la Giorgia Capitolina non avrebbe tappezzato la città di cartelloni photoshoppati con primi piani in cui si fatica a riconoscerla.
E chissà se Rutelli, che odddio più invecchia più è bello, sarebbe stato sindaco di Roma. Poi c’è Di Battista, che con il suo fascino energetico e puro e giovane e incorruttibile, buca schermi e conquista cuori. E chissà se Boschi, senza #shabadabada etereo e conturbante, sarebbe la stessa ministra. La bellezza è un valore tanto quanto l’intelligenza e per quanto siano tristi, non stupiscono gli epiteti rivolti alla grillina Bedori per una sua inadeguatezza “fisica”.
Se l’estetica è marketing elettorale, certamente il corpo è politica, come dicono i Radicali. La storia politica di Emma Bonino, per esempio, comincia proprio con un aborto illegale, una fuga all’estero, un arresto sotto i riflettori al seggio elettorale. E poi, decenni di battaglie, aborti autodenunciati, scioperi della fame e della sete, denti caduti, tumori e chemioterapie sotto i riflettori. E solo per fare altri esempi, Vladimir Luxuria, il figlio di Vendola, lo smunto Giachetti in sciopero della fame contro il Porcellum.
Senza dimenticare che c’è chi ha chiamato quella tra Boccia e De Girolamo “la figlia del Nazareno”. Ora, essere incinta è normalmente difficile per un lavoratore e sicuramente ostico per chi affronta una campagna elettorale. Ma, come ogni difficoltà che non uccide, può rendere più forti.
Gli avversari di Meloni, poi, si rendano conto che i figli – dinastici, illegittimi, d’interesse, d’amore o come reificazione della famigliola felice – sono da sempre strumento politico. E che potenzialmente lo è anche il ruolo di madre – Merkel, cui certo non manca di autorevolezza, è chiamata “mutti”, mamma, mentre l’ultimo a essere chiamato “padre” fu Stalin – e che, in ogni caso, Meloni è libera di decidere quello che vuole fare.
E, anzi, a lei e a tutte le altre madri dovrebbero essere garantiti strumenti di welfare e normativi che permettano loro di affrontare liberamente una gravidanza.
Tutto il resto è noia elettorale. Pardon, campagna. (Public Policy)
@GingerRosh