Twist d’Aula

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – “Almeno il sorteggio… No dico, almeno intervenissero sul sorteggio. O davvero in Parlamento pensano di star giocando alla roulette?“. Da quando hanno chiuso il piccolo giardino posto come un crocevia nel triangolo formato dal Palazzo della Consulta, Palazzo Gentiloni e il Quirinale, le chiacchiere, le confidenze e le confessioni della pausa pranzo di chi in quelle istituzioni ci vive e ci lavora sono un po’ meno riservate.

Sul crinale del Colle più alto, infatti, uscendo dai rispettivi uffici sono soliti incontrarsi, lontano da occhi indiscreti, giudici costituzionali, gran commis quirinalizi, alti papaveri presidenziali. E non c’è bisogno di ricordare, per testimoniare il doppio filo che lega le due istituzioni, che l’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella, è stato presidente della Consulta. Ma, appunto, il giardino delle confidenze è ora inaccessibile. Così, tra il ristorante Rinaldi, con la sua saletta riservata tanto amata dai funzionari di Bankitalia fin dai tempi di Mario Draghi, e il caffè Eliseo, tra un turista e l’altro, può capitare di ascoltare qualche conversazione che non si dovrebbe ascoltare. L’orecchio indiscreto del cronista, allora, pur senza poter riferire i nomi, ha raccolto la voce delusa del Quirinale verso la classe politica e la preoccupazione della Consulta per l’assunzione di un ruolo che non le è proprio. E che nemmeno vuole.

“Sul Porcellum e sull’Italicum, ma anche sulla riforma delle banche popolari, sulla legge Fornero, sullo stesso referendum sull’articolo 18, e su tante altre cose ormai dobbiamo svolgere un ruolo di supplenza che non è il nostro”, dice un attempato giudice costituzionale. Occhiali senza montatura, abito sartoriale grigio, cravatta blu. “Non è colpa nostra se dobbiamo intervenire sempre – si lamenta – ma ormai le leggi le scrivono con i piedi. Hanno scelto i funzionari solo per fedeltà e non per competenza. E poi, nel nome della velocità, non fanno altro che errori. Per me i testi non li rileggevano nemmeno”.

Ma oltre alla malinconia del professionista navigato per i tempi che furono, c’è un punto, un problema, una preoccupazione politica, anzi istituzionale. “Gli italiani ci vedono come dei rompiscatole, mentre noi dobbiamo salvare il salvabile e non possiamo non intervenire. Siamo la cerniera costituzionale”, dice il togato che, con un linguaggio che non ti aspetti, se la prende anche con la ‘dissenting opinion’. “Ci vogliono trasformare in un organo tutto politico. Col cavolo.. mica siamo in America. Non sanno fare le cose e ci scaricano tutto addosso”.

Il Quirinale ha già vissuto questa fase. Durante il doppio mandato di Napolitano, le funzioni del presidente della Repubblica sono state utilizzate in modo ampio, qualcuno dice eccessivo. La chiamata di Monti, la rielezione, il discorso alle Camere di Re Giorgio, la legislatura costituente (che non fu), la spinta alle riforme. Da “arbitro”, nella debolezza dei partiti e di fronte ad un Parlamento delegittimato, il Quirinale ha assunto il ruolo di attore protagonista, che ora sembra tornato a dover interpretare ancora una volta.

“Non puoi farci niente. Ti capisco, perché ci sono passato”, argomenta il tecnico del legislativo del Quirinale. “Anche questa pronuncia sull’Italicum non l’ha capita nessuno. E meno male, perché il presidente non deve apparire. Però aver rinviato la sentenza a dopo il referendum, fissandola non prima del 24 gennaio, aver pubblicato le motivazioni dopo 15 giorni era proprio quello che si voleva”.

Cioè – spiega mentre con imbarazzata nonchalance il cronista cerca di avvicinarsi – “da una parte togliere tempo e spazio ad un’ipotetica chiusura anticipata della legislatura. Rinviare di qualche settimana per scavallare la finestra di quest’inizio d’anno. Dall’altra, emettere una sentenza che lasciasse al Parlamento un compito il più facile possibile”. (Public Policy)

@GingerRosh