Twist d’Aula – Cambio di stagione: dal debito alle riforme

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – È finita la stagione dei sussidi in deficit, facili da erogare. Siamo entrati in quella delle (necessarie) riforme, difficili da concretizzare. Anche nel Pnrr, per esempio, non ci sono finanziamenti conditi da riforme, ma piuttosto una serie di riforme con finanziamenti intorno. La richiesta dei partiti di un nuovo scostamento di bilancio (sarebbe il 13esimo da inizio pandemia) per calmierare i rincari energetici, che dovrebbe aggiungersi ai 12 miliardi già stanziati, sembra infatti destinata a essere respinta. Forse arriverà qualche sostegno, ma l’idea è mantenere il deficit al 5,6%. Quei 5/7 miliardi verranno quindi prelevati da qualche altra voce di spesa, scontentando qualcuno. Il problema è che la scarsità di risorse a disposizione è direttamente proporzionale all’aumento delle fibrillazioni politiche. Se a questo aggiungiamo che in calendario ci sono almeno cinque interventi delicati (fisco, pensioni, giustizia, appalti e concorrenza), una ripresa economica che si allontana e una campagna elettorale che si avvicina, i prossimi mesi potrebbero risultare davvero problematici.

Durante la pandemia lo Stato ha foraggiato il settore privato con quasi 200 miliardi, affogando nervosismo e rivendicazioni, ma le risorse non sono illimitate e il clima, in Europa e sui mercati, è cambiato. La scelta del Governo è quella di mantenere gli impegni con Bruxelles, anche per sedersi con maggiore autorevolezza al tavolo delle trattive per la revisione del Patto di stabilità che partono a marzo. Draghi ha sempre avuto uno sguardo rivolto oltre confine, non solo per la storia personale, ma anche come approccio politico. Nel suo discorso di insediamento la vera novità è stata la collocazione euroatlantica e l’abbandono delle sirene cinesi. Sull’energia ha promosso un piano di stoccaggio e acquisti comuni europei con la Spagna. A ottobre sponsorizzava davanti alle Camere un programma di sussidi all’industria dei semiconduttori e ora è arrivato il Chips Act comunitario. Allo stesso modo ha agito sulla crisi afghana, sui migranti, sui vaccini. Difficile voglia ora cambiare verso.

Insomma, non ci sono più tanti assegni da staccare, non c’è più il debito da aumentare, ma ci sono interventi politicamente complicati da realizzare, tra l’altro sono noti e in programma da decenni, ma con tasso di finalizzazione prossimo allo zero. Senza di essi c’è chi stima che, esaurito l’effetto Pnrr, potremmo tornare alla crescita anemica dello zero virgola dei tempi pre-Covid. Tuttavia si tratta di partite difficili. Per quanto riguarda il fisco, l’accordo politico è stato trovato solo sulla riduzione degli scaglioni Irpef, ma su nessun altra imposta. Sul catasto, per esempio, il centrodestra promette barricate. In merito al regime pensionistico del prossimo anno (siamo in una transitoria “Quota 102” che finisce a fine 2022) il centrosinistra non vuole sentire parlare di ricalcolo contributivo. Qualcuno scommette che, pur di far passare le modifiche che sono necessarie ad andare avanti con il Pnrr, alla fine si tratterà di piccoli maquillage, del minimo indispensabile per cantare vittoria.

C’è poi la revisione del Codice degli appalti, da chiudere entro giugno, con il ddl che però giace in Parlamento da settembre. Quello sulla concorrenza, altro provvedimento “sensibile”, ha invece già calendarizzato circa 90 audizioni a Palazzo Madama. E i balneari pronti alla battaglia. C’è poi la riforma della giustizia, invocata da Mattarella nel suo discorso e sui cui i parlamentari si sono spellati le mani per applaudire, che però avanza con difficoltà sia per quanto riguarda il civile, sia per ciò che concerne il penale (senza parlare della riforma del Csm). Insomma si preannunciano mesi difficili, anche perché il tesoretto è esaurito, mentre è tornata l’era dei compiti a casa. Si dice che ci avviamo a tornare alla normalità. Ma non è che quella pre-Covid, economicamente parlando, sia sempre stata esaltante. (Public Policy)

@m_pitta

(foto cc Palazzo Chigi)