Twist d’Aula – Farne una questione europea (sempre)

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Portare i problemi oltreconfine. Fin dal discorso di insediamento in Parlamento Mario Draghi ha determinato rilevante discontinuità della politica internazionale italiana, spostando l’asse della Penisola verso l’Atlantico. Successivamente ha affrontato molti problemi con un approccio internazionale, provando a far combaciare i nostri interessi con quelli altrui: il blocco dell’export dei vaccini Astrazeneca, le inconsuete parole poco diplomatiche verso Erdogan ai tempi del Divanogate, la risposta ai rincari energetici tramite un’azione congiunta europea, perfino una politica europea per sopperire alla crisi dei semiconduttori, come anche sui migranti, sulla crisi climatica e, se volete, promuovendo un G20 sulla crisi afghana. Adesso si apre il capitolo forse più importante, quello della politica di bilancio.

Nelle comunicazioni alle Camere in vista del Consiglio europeo il presidente del Consiglio ha detto che non è per bisogno che si sta in Europa, ma per interesse. Certi Paesi, lo sappiamo, sono too big to fail. Lo si è visto anche nell’aprile 2020 con le prime contromisure adottate dalle istituzioni europee contro la pandemia, tra cui la sospensione del Patto di stabilità. Proprio su quelle regole sono ora partiti i negoziati. Tuttavia è difficile credere che i Paesi cosiddetti “frugali” e la Germania (soprattutto se il leader dei liberali diventerà ministro dell’Economia) abdichino completamente. Però è possibile (forse grazie all’introduzione dei “Contractual Arrangements” come figlioccio del Next Generation Eu), che sia arrivato il tempo di un approccio meno rigorista.

La strategia di Draghi, dichiarata con il celebre editoriale sul Financial Times nei primi giorni del lockdown, prevedeva proprio il massiccio uso di risorse pubbliche per evitare conseguenze peggiori. Un approccio adottato anche con il suo arrivo a Palazzo Chigi. Per l’Italia, in sintesi, si tratta di spendere e investire di più adesso così da raggiungere una crescita nominale tale da rendere l’enorme debito pubblico accumulato finora sopportabile, più che nel suo valore assoluto, in rapporto al reddito nazionale. Per fare questo, però c’è bisogno di risorse. Public Policy aveva notato come il Documento di economia e finanza di aprile fosse eccessivamente, e volutamente, prudente. Abbassava strumentalmente le aspettative di crescita così che maggiori spazi di manovra potessero essere esercitati in futuro.

Ora quel momento è arrivato e la legge di Bilancio prevede infatti 23 miliardi di ulteriore deficit sebbene le cose stiano, seppur lentamente e precariamente, migliorando. Proteste da Bruxelles non sono arrivate. E l’esperienza ci ha dimostrato che uno scostamento dagli impegni europei da parte di un Governo sovranista (quello gialloverde) provoca allarme internazionale molto più di quanto non possa avvenire con un Esecutivo europeista (quello giallorosso). Figuriamoci con una personalità come Draghi, che ha consentito l’approvazione del Pnrr investendo la propria reputazione personale con Von der Leyen. In fondo, quando si tratta di rimborsare dei debiti non si giudica il deficit in sé, ma il deficit in me, cioè la capacità di rispettare gli impegni.

Tuttavia, Draghi non starà a Palazzo Chigi per sempre. E non sappiamo chi verrà, né che accadrà dopo. Per adesso, il terreno viene preparato in due modi. La prima è, ancora una volta, essere prudenti nel presente per raccogliere più frutti in futuro. La Nadef indica infatti la stessa crescita sia per il tendenziale che per il programmatico nel 2024, quasi ignorando gli effetti degli investimenti, del Recovery, delle riforme. Difficile credere che sia una dimenticanza. Piuttosto, intenzionale prudenza. L’altra metà è rappresentata dalla negoziazione europea dei nuovi parametri di bilancio. Improbabile vengano eliminati, ma difficile che tornino quelli dell’era ante-Covid. Anche qui, il tentativo è traslocare il problema in Europa. In Senato mercoledì, tra le righe e mentre parlava di altro, Draghi lo ha fatto sapere. Serve un impegno dello Stato, quindi dell’Europa. I problemi si trasferiscono a Bruxelles. (Public Policy)

@m_pitta