di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Domani sapremo se l’Esecutivo Lecornu – il sesto in appena cinque anni a Parigi – riuscirà a superare le due mozioni di censura presentate all’Assemblea Nazionale, una da Marine Le Pen e l’altra da Jean-Luc Mélenchon. Se ce la farà, sarà grazie al rimpasto preventivo e soprattutto allo stop alla riforma delle pensioni, che ha consentito di ottenere l’appoggio socialista. Vedremo. Ma è evidente che la crisi politica transalpina – ancora non istituzionale – affonda le sue radici in fragilità economiche profonde, legate a un sistema di welfare e di finanza pubblica ormai insostenibile.
Debito elevato, crescita debole, difficoltà di riforma, spesa pubblica rigida e instabilità politica: sono i tratti di una Francia che sembra avviarsi verso una progressiva “italianizzazione”. Eppure, chi in Italia si compiace con una certa Schadenfreude del nuovo “malato d’Europa” dimentica due aspetti fondamentali: il rischio di contagio e l’interesse strategico a mantenere un’economia europea solida, con partner industriali e commerciali in buona salute. Per questo, più che celebrare un presunto sorpasso, magari richiamando l’episodio – effimero – dello spread francese sopra quello italiano, sarebbe opportuno ricordare che si tratta di un segnale di debolezza altrui, non di forza nostra.
Guardiamo ai numeri. Oggi, nel momento in cui scriviamo, lo spread francese è a 78 punti base, quello italiano a 81: praticamente allineati. Il “sorpasso” del BTP sull’OAT, primo dal 2005, è stato accolto come un gol della bandiera, ma è un episodio isolato. Vale la pena ricordare che negli ultimi anni i titoli di Grecia, Portogallo e Spagna hanno spesso fatto meglio dei nostri. E se qualcuno legge in ciò una promozione dei mercati verso Roma, va detto che le agenzie di rating continuano a considerare la Francia investment grade con giudizi in area “A”, mentre l’Italia resta confinata nella fascia “B”. Inoltre, mentre la BCE ha escluso interventi straordinari su Parigi – qualcuno nota un occhio di riguardo della presidente Lagarde per i connazionali – Roma continua a beneficiare dei fondi del Next Generation EU.
Anche sul piano economico il quadro non cambia molto. Italia e Francia hanno raggiunto la parità del Pil pro capite dopo un decennio di distacco. Tuttavia, questa convergenza deriva più dal rallentamento francese e dal calo demografico italiano che da un reale recupero di produttività. Il Pil pro capite italiano resta ancora quasi sei punti sotto la media dell’Eurozona, mentre nel 2000 la superava di oltre sette.
Quanto al debito, quello francese – cresciuto dal 2019 sei volte più rapidamente del nostro – è salito al 114% del PIL, contro il 137% dell’Italia. In valore assoluto Parigi deve più di noi, e paga anche interessi maggiori, ma il quadro va letto alla luce della crescita: secondo l’FMI, tra il 2024 e il 2026 la Francia crescerà complessivamente del 2,7% (+1,1%, +0,7%, +0,9%), mentre l’Italia si fermerà intorno al 2% (+0,7%, +0,5%, +0,8%) nonostante la spinta del Pnrr. Insomma, Parigi rallenta, ma resta davanti.
Sul piano dei conti pubblici, invece, le differenze emergono. L’Italia è passata da un deficit del 7,2% nel 2023 al 3,8% nel 2024, con l’obiettivo di arrivare al 3,3% nel 2025 (e forse al 3% secondo Giorgetti). Ha dunque scelto la disciplina di bilancio, anche a scapito della crescita, conquistando così la fiducia dei mercati. La Francia, al contrario, non riesce a ridurre il disavanzo: 5,4% nel 2023, 5,8% nel 2024, 5,7% nel 2025 e 5,6% nel 2026. Con una spesa pubblica pari al 57% del PIL (contro il nostro 54%), e una pressione fiscale già ai limiti, per Parigi è difficile invertire la rotta.
Domani capiremo il destino del governo Lecornu – e forse anche quello della presidenza Macron. Bayrou, prima di lui, è caduto dopo aver presentato un programma di tagli e sacrifici; Attal ha fatto la stessa fine. Chissà che a Parigi qualcuno non cominci a guardare con una certa invidia all’Italia e alla sua “tradizione” di governi tecnici, capaci di fare ciò che la politica non osa. In fondo, la Francia ci sta imitando: bassa crescita, alta spesa, deficit cronico, instabilità. Le manca ancora un passo – peggiorare un po’ i conti – e, forse, inventarsi anche lei una soluzione “all’italiana”. (Public Policy)
@m_pitta
(foto cc Palazzo Chigi)