di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Eletto il nuovo Parlamento europeo, c’è da definirne gli equilibri. Perché la conferma della maggioranza europeista (Popolari, Socialisti, Liberali) è chiara, ma indebolita nei numeri. Senza innesti o supporti esterni, potrebbe non farcela. Soprattutto, l’avanzata delle forze di destra è un messaggio politico sul alcuni grandi temi, come il Green Deal. E proprio su un tema specifico, cioè lo stop ai motori termici dal 2035, nelle prossime settimane capiremo quale sarà la direzione della nuova assemblea. Sarà determinante la decisione di tenere il punto di un rigoroso ambientalismo confermando quella data, o invece si terrà conto della crescita di forze contrarie. Se insomma, si passerà dai Verdi delle colonnine elettriche ai Conservatori del motore a scoppio.
Il summit del G7 in corso in Puglia, dove sono presenti Meloni, Macron, Scholz, von der Leyen e Michel, è il primo passo per discutere delle nomine. Si prosegue nel weekend in Svizzera e si conclude, forse, nella cena informale di lunedì sera a Bruxelles. Possibile quindi che i giochi siano fatti prima che i nuovi gruppi si siano costituiti (inizia il PPE e finisce ID il 3 luglio), visto che dal Consiglio Ue del 27 e 28 giugno dovrebbe uscire il nome del prossimo presidente della Commissione, una scelta che il 18 luglio il Parlamento europeo può approvare o respingere (rimandando tutto a settembre). Ma nulla più.
Per avere un quadro di cosa potrebbe succedere, bisogna ricordare che la maggioranza assoluta dei 720 deputati è 361. Cinque anni fa, von der Leyen la spuntò per solo 9 voti pur avendo quasi il doppio del margine. A salvarla furono i nazionalisti polacchi del PiS, gli ungheresi di Fidesz (Orban allora era nel PPE) e qualche 5 stelle – rompendo con la Lega nell’antipasto della fine del Governo gialloverde. Questa volta i voti di margine sono 42, ma tra i Popolari 6 gollisti francesi e 5 sloveni hanno già detto che non la voteranno.
Tra i Socialisti, quasi sempre all’opposizione nei rispettivi Paesi, ci sono molti dubbi. I liberali tedeschi (cinque) hanno già detto di no, mentre i 13 macroniani francesi sono in bilico (quante volte Macron ha detto no alla riconferma di Ursula?). E franchi tiratori potrebbero esserci tra gli stessi compatrioti tedeschi della Presidente. Se vuole la riconferma, von der Leyen deve riuscire in un acrobatico esercizio di equilibrismo politico e di aritmetica politica che gira tutto intorno all’auto elettrica.
Dunque, visto lo scarso margine è indispensabile un sostegno esterno. E le scelte sono due: rivolgersi a destra (Meloni e, forse, Le Pen), oppure ai Verdi. Da qui alle prossime settimane ci sono due momenti fondamentali che permetteranno di capirlo. Il primo sono le elezioni francesi, perché avere Le Pen all’opposizione o avere Le Pen al governo cambia molto. Un po’ come Meloni all’opposizione e Meloni al governo.
Se i sovranisti francesi dovessero rimanere fuori dalla stanza dei bottoni manterrebbero (ritornerebbero?) a un atteggiamento molto più aggressivo. Invece, se dovessero vincere, avrebbero tutti l’interesse, come lo ha il nostro Governo, a poter nominare un commissario di peso e a non rimanere isolati. L’altro momento fondamentale è la scelta sull’auto elettrica. Nel programma elettorale, il PPE annunciava la marcia indietro sullo stop ai motori termici dal 2035. Una decisione che verrà confermata?
Sicuramente ci sono molte ragioni per rinviare la scadenza (prezzi alti, batterie e dominio cinese, filiere europee non pronte, rete elettrica non sviluppata abbastanza, colonnine scarse, etc). Ma saranno sufficienti a convincere i Verdi? Rinunceranno a una misura simbolo, alla loro bandierina, per evitare che il loro posto venga preso dai Sovranisti e dai Conservatori? Alla fine, la scelta potrebbe ridursi a quella tra una colonnina elettrica e una pompa di benzina. Vedremo se i Verdi andranno a fare il diesel. Altrimenti si gira a destra. (Public Policy)
@m_pitta