di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Otto miliardi, come quelli stanziati dal Governo in manovra per la riduzione del carico fiscale, sono molti o sono pochi? In teoria sono tanti soldi, ma a guardare il modo in cui ci si appresta a distribuirli nella pratica c’è il rischio che, per dare un pezzetto a ciascuno, alla fine non sia felice nessuno. Tutti i Governi hanno sempre promesso il taglio delle tasse e più di qualcuno lo ha anche fatto. Tuttavia la percezione è stata assai diversa tra l’uno e l’altro, ma più che per la quantità di denaro a disposizione, per le modalità con cui si è operato. Potremmo quasi dire che i tagli di tasse non si contano, ma si pesano. Tra l’altro in modo direttamente proporzionale a obiettivi circoscritti e a procedure chiare e visibili.
Nel 2015 è stata abolita l’Imu sulla prima casa, la quale generava un gettito di circa quattro miliardi annui: la metà di quanto stanziato in questa Finanziaria. Gli effetti tuttavia potrebbero non essere nemmeno paragonabili. In queste ore il ministero dell’Economia sta lavorando insieme ai partiti per decidere come orientare le risorse. Possibile che le aliquote Irpef vengano ridotte a tre (temporaneamente a quattro) e che venga (quasi) dimezzata la platea Irap. Tuttavia, se anche l’intero ammontare fosse destinato alla riduzione generalizzata del cuneo si avrebbe un incremento medio del reddito disponibile dello 0,71%, dice l’Istat. Su 20mila euro netti annui significa 142 euro: poco più di 11 euro al mese. Concentrando invece tutte le risorse sullo scaglione Irpef tra 28 e 55mila euro si arriva, mal contati, fino a 540 euro l’anno (ma solo per i redditi più alti che dunque verrebbero favoriti): 45 euro al mese, quattro volte tanto.
C’è uno storico ancora più illuminante. Prodi nel 2007 e nel 2008 stanziò nove miliardi per ridurre il cuneo fiscale di cinque punti, di cui il 60% a favore delle imprese con un sistema di deduzioni che premiava chi assumeva a tempo indeterminato e il restante 40% a beneficio dei lavoratori attraverso la trasformazione delle deduzioni in detrazioni e con l’aumento degli assegni familiari. Contestualmente, smontò le riforme di Tremonti e Siniscalco. Risultato? Novità annacquate e tutti scontenti. Invece il bonus da 80 euro costato dieci miliardi, pur creando non poche contraddizioni e incongruità, e non rilanciando la domanda interna, per il solo fatto di essere scritto ben visibile nelle buste paga è stato percepito diversamente. Si possono fare molti altri esempi: non aumentare l’Iva ha avuto un costo, che però nessuno ricorda; la rottamazione delle cartelle o la flat tax per gli autonomi, pur costando assai meno, ha invece fatto sorridere in tanti.
Certo, oltre al sentiment dei contribuenti bisogna sempre considerare gli effetti sull’economia. Non è un caso che le parti sociali, come anche Bruxelles, chiedano da tempo un alleggerimento del carico fiscale sui fattori produttivi e in particolare sul lavoro. Confindustria e sindacati auspicano un incremento da otto a tredici miliardi delle risorse a disposizione da impiegare, tutte, sul cuneo. Se fosse possibile, sarebbe una indicazione univoca, una direzione chiara. Purtroppo, come ha ripetuto il presidente dell’Upb, Giuseppe Pisauro, senza ridurre la spesa pubblica, difficile tagliare le entrate e, quindi, le tasse. La pressione fiscale resta così da anni su livelli similari, troppo elevati, a cui aggiungere un sistema di riscossione stratificato, iniquo e spesso vessatorio.
In ultimo è doveroso ricordare che l’articolo 2 della legge di Bilancio, che stanzia gli otto miliardi, è finito sotto la lente di ingrandimento del Servizio Bilancio del Senato (insieme a molte altre norme su sanità, pensioni, proroga del superbonus). Vengono infatti stanziati fondi senza decidere dove metterli. Di solito, invece, il legislatore prima definisce le priorità e poi le finanzia. Questo però, come scritto la settimana scorsa, fa parte di una precisa strategia di Palazzo Chigi: delegare parte delle scelte sulla manovra alle litigiose forze parlamentari, così da evitare di tirare la corda e andare avanti senza strappi sugli altri fronti, in particolare riforme e Pnrr. Il rischio, tuttavia, è che spartiti tra le forze di maggioranza gli otto miliardi finiscano in troppi, piccoli rivoli, suscettibili di asciugarsi già alla prossima primavera. (Public Policy)
@m_pitta