di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Sono passati quattro anni dall’avvio del Pnrr. Mancano 17 mesi alla sua conclusione prevista per giugno 2026 e, quindi, comincia il tempo dei bilanci. Prima di tutti i numeri: l’Italia ha ottenuto fin qui 122 dei 194 miliardi (il 62%) e con la settima rata già richiesta si arriverebbe a 140 (72,1%). Considerando che tutti gli altri Paesi europei, insieme, totalizzano 155 miliardi (l’Italia ha a disposizione il 38% di tutte le risorse del NGEU) se ne deduce che siamo a buon punto. Bene. Ma non basta, perché i soldi ci sono, ma sono fermi.
Secondo i dati Openpolis, infatti, sono stati effettivamente erogati solo 58,6 miliardi. Più o meno la stessa cifra (57,7 miliardi) indicata dalla Corte dei conti il 30 settembre scorso: in sintesi il 30% del totale. Al momento il nuovo ministro per gli Affari Ue e il Pnrr (l’ex capogruppo FdI alla Camera, Tommaso Foti) garantisce che tutte le risorse verranno utilizzate ed esclude proroghe formali. Vedremo. Per l’intanto ha messo però allo studio l’istituzione di uno o più fondi dove far confluire i soldi che non si riuscirà a spendere; una sorta di cassaforte dove destinar risorse ad hoc, in modo da “non perder nemmeno un centesimo”. Come noto, infatti, i soldi non spesi dovranno essere restituiti a Bruxelles.
Tuttavia, oltre ad ottenerli e spenderli, bisogna anche capire come questi soldi sono spesi, con quali obiettivi e con quali effetti. Di quei 194 miliardi, 122 sono loans che l’Italia deve restituire a Bruxelles. Ad interessi oggi più alti del 2021, quando i tassi erano a zero. Secondo il Mef il costo dei prestiti del Pnrr è salito da 500 a 850 milioni per il 2024, da 710 milioni a 2 miliardi per il 2025, da 2,5 a 2,8 miliardi per il 2026. Due miliardi aggiuntivi in tre anni; quasi 7 miliardi in totale. A cui aggiungere quello che accadrà nel 2027. Nonché il costo dei grants che, seppur condiviso con gli altri Paesi Ue, non è a zero.
Dunque, visto che il Pnrr non è gratis, c’è da capire cosa ne abbiamo fatto di questo nuovo e ulteriore debito. Qui diventa complicato, perché dentro c’è di tutto – dalle piste ciclabili alle stazioni ferroviarie dei piccoli centri, dallo Spid agli archivi dei musei – ed è difficile dare un giudizio complessivo. Più passa il tempo più la decisione di virare risorse sul RepowerEu sembra avere senso. Altri progetti improntati all’ambientalismo appaiono oggi demodé. Ma se la bontà di queste scelte strategiche potrà esser demandata solo ai posteri, alcune cose sono già evidenti adesso.
Ci sono progetti (asilo nido, alloggi pubblici, alcuni lotti ferroviari, la stessa Alta velocità Salerno-Reggio) che vengono definanziati perché non si è in grado di farli procedere e non perché sbagliati. D’altra parte, i progetti che viaggiano più velocemente sono quelli sostenuti dalle partnership competenti, solitamente grandi aziende, in particolare nelle infrastrutture e nel digitale. Il corollario, l’effetto collaterale, è che si è creato una sorta di ‘monopolio’ di fatto. E il secondo effetto collaterale è una sorta di inflazione da Pnrr. Come avvenne con il Superbonus, quando i prezzi dei materiali schizzarono alle stelle, così sta avvenendo per esempio per i siti web dei Comuni, che in media costano oggi 3 volte in più che nel 2021.
E poi c’è un’altra domanda. Cosa accadrà tra meno di un anno e mezzo quando il Pnrr sarà terminato? Certamente è possibile l’avvio di progetti simili, magari verticali e ridotti, ma comunque bisogna domandarsi: se con i soldi europei riusciamo a costruire le Case di Comunità, dove prendiamo i soldi per pagar gli stipendi del personale che dovrà lavorarci? Sulla digitalizzazione della Pa, ci fermiamo nel 2026 per mancanza di fondi? Avviati i lavori infrastrutturali, siamo sicuri che non verranno lasciati a metà per assenza di fondi? Se il Pnrr fosse davvero stato un progetto di rilancio del Paese, una serie di riforme sostenuto da finanziamenti, queste domande sarebbero un po’ provocatorie. Ad oggi, invece, potrebbero essere molto concrete. (Public Policy)
@m_pitta
(foto cc Palazzo Chigi – Giorgia Meloni insieme all’ex ministro Raffaele Fitto, durante una riunione della cabina di regia del Pnrr)