ROMA (Public Policy) – Secondo il Governo, il dl Carige – varato lunedì scorso in Consiglio dei ministri e assegnato l’8 gennaio in commisione Finanze alla Camera – prevede garanzie che “saranno concesse nel pieno rispetto della normativa in materia di aiuti di Stato”. E il ministro dell’Economia Giovanni Tria, rispondendo la scorsa settimana durante il question time alla Camera, ha specificato che, se il dl è analogo a quello del 2016 varato dal Governo Gentiloni su MpS e banche venete, ciò è davuto al fatto che “non è cambiata la cornice normativa dell’Ue, in cui il supporto alla liquidità si iscrive”.
Ma cosa prevede questa cornice normativa e cosa accadrà a azionisti e creditori Carige nel caso in cui si dovesse rendere necessaria la ricapitalizzazione precauzionale della banca?
Il provvedimento, in 23 articoli, prevede forme di supporto pubblico della liquidità della banca con una garanzia statale sulle emissioni obbligazionarie di Carige (con soglia del valore nominale fino a 3 miliardi) e sui finanziamenti discrezionali erogati da Bankitalia (erogazione di liquidità di emergenza – Ela), e appunto l’eventuale sottoscrizione di azioni di Banca Carige, effettuabile dal Mef per rafforzarne il patrimonio. Queste previsioni (garanzia dello Stato sulle passività di nuova emissione, garanzia dello Stato a sostegno degli strumenti di liquidità forniti dalla banca centrale, sottoscrizione di strumenti di capitale, nell’ammontare necessario a fare fronte a carenze di capitale evidenziate in prove di stress) non costituiscono – alla luce della direttiva 2014/59/Ue (direttiva Brrrd) – indice dello stato di dissesto, e dunque non danno via libera alla procedura di risoluzione (o liquidazione). In tutte e tre le ipotesi le banca devono essere solvente e l’intervento deve essere temporaneo.
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GIL