di Tommaso Lecca
BRUXELLES (Policy Europe / Public Policy) – Quella di lunedì è stata “una buona riunione, dove il Parlamento e il Consiglio hanno presentato le loro ragioni su questioni non insormontabili”. Così un funzionario Ue che ha spiegato a Policy Europe i recenti sviluppi nel trilogo negoziale tra Consiglio Ue, Eurocamera e Commissione europea, all’interno del quale si deciderà il testo definitivo della nuova direttiva sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.
Una normativa che andrà a sostituire la direttiva 22 del 2009, ritenuta inadeguata a difendere gli interessi collettivi alla luce di recenti scandali come il Dieselgate.
I principali nodi da sciogliere sul testo in esame sono tre. Il primo riguarda la divisione tra azioni domestiche e transnazionali. Una partizione “introdotta dal Consiglio e che non esiste né sul testo approvato dal Parlamento né sulla proposta originale della Commissione”, ricorda il funzionario.
Gli Stati membri, rappresentati dal Consiglio, vorrebbero in sostanza mantenere il controllo sulle azioni rappresentative all’interno dei propri confini, senza dover applicare una direttiva Ue, che viene percepita come un’intrusione nelle regole processuali interne dei singoli Paesi. Limitare il campo di applicazione della riforma alle sole azioni transnazionali, quelle che coinvolgono consumatori provenienti da un certo numero di Stati Ue, sarebbe il modo per raggiungere l’obiettivo di preservare tale autonomia.
In secondo luogo c’è l’articolo 7 del testo della direttiva, quello relativo alla trasparenza dei finanziamenti degli enti legittimati a proporre azioni rappresentative, al fine di evitare che i competitor di un’impresa – ‘travestiti’ da enti di rappresentanza – intentino azioni in tribunale al fine di ostacolare, in maniera sleale, la concorrenza.
Al contrario della separazione tra azioni domestiche e transnazionali, tale articolo è presente sia nel testo della Commissione che in quello dell’Eurocamera, ma risulta assente nella proposta del Consiglio “che l’ha cancellato per ragioni tecniche”, secondo quanto si apprende.
“Il Consiglio riconosce la necessità della trasparenza dei finanziamenti”, spiega ancora il funzionario, “ma non condivide quanto stabilito dal Parlamento sulle adeguate risorse che ogni Stato dovrebbe garantire a tali enti legittimati”. Per controllare la trasparenza dei finanziamenti si pone, inoltre, l’interrogativo su chi debba vigilare e con quali strumenti (finanziari, di personale e via dicendo).
Terzo punto da chiarire è quello relativo all’onorario condizionato degli avvocati che assistono gli enti legittimati nelle azioni rappresentative. Secondo il Parlamento, i legali che assistono i gruppi di consumatori dovrebbero essere liberi di assistere gratuitamente – durante la durata del processo – gli enti legittimati, per poi ricevere una percentuale di quanto ricevuto dai rappresentati in caso di vittoria in giudizio. In sostanza, si tratta di un patto quota/lite, che gli Stati membri vorrebbero evitare.
Il funzionario informato sul dossier si dice “ottimista” sul raggiungimento di un accordo tra Consiglio e Parlamento.
Prima della prossima riunione del trilogo, fissata provvisoriamente per il 1° aprile, i tavoli tecnici andranno avanti per appianare le differenze tra istituzioni. Se prima di tale data non si arriverà a un accordo sui contenuti, la riunione con i rappresentanti politici “potrebbe essere posticipata al 30 aprile”, precisa la fonte. In ogni caso “si punta a chiudere sull’intero pacchetto entro il 30 aprile”, conclude il funzionario, “per poi vedersi a maggio per le strette di mano e la firma del testo definitivo”.
@tommylecca