ROMA (Public Policy) – In commissione Affari costituzionali al Senato è stato approvato mercoledì, al dl Covid, l’emendamento sul caso Vivendi-Mediaset e la sentenza della Corte Ue di settembre scorso. Il decreto è ora all’esame dell’assemblea, in prima lettura parlamentare.
Il testo dell’emendamento, a firma della relatrice Valeria Valente (Pd), come anticipato da Public Policy nei giorni scorsi, prevede un periodo transitorio di 6 mesi (nell’attesa della riforma della legge Gasparri sul tema delle partecipazioni nelle aziende tv) entro cui l’Agcom dovrà svolgere una sua istruttoria “volta a verificare la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo, sulla base di criteri previamente individuati, tenendo conto, fra l’altro, dei ricavi, delle barriere all’ingresso”.
L’emendamento, dunque, interviene per attuare la sentenza della Corte di giustizia Ue del 3 settembre 2020, pronunciatasi su una serie di questioni pregiudiziali sollevate dal Tar del Lazio (che riguardano appunto la scalata Vivendi nel gruppo Mediaset) dichiarando che le legge Gasparri differisce dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che disciplina la libertà di stabilimento nel mercato interno.
In particolare, la disciplina italiana vieta a qualsiasi società i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche (Tlc), anche tramite società controllate o collegate, siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni (Sic), ricavi superiori al 10% di quelli del Sic in Italia. Il Sic, secondo la legge italiana, è composto da: stampa, pubblicazioni elettroniche, radio e servizi audiovisivi (tv), cinema, la pubblicità esterna, iniziative di comunicazione di prodotti e servizi, nonché sponsorizzazioni.
Nonostante la norma sia considerata dalla Corte Ue “accettabile” in linea di principio, la stessa è stata valutata in concreto “inidonea”, sotto il profilo della proporzionalità, a perseguire il fine di garantire il pluralismo dei media, in quanto fissa soglie di mercato che, non consentendo di determinare compiutamente se e in quale misura un’impresa sia effettivamente in grado di influire sul contenuto delle attività editoriali dei media, non sono indicative di un rischio concreto di influenza sul pluralismo dei media.