Capano si riferisce in particolare all’articolo 54 del
decreto legge, che modifica il codice introducendo tre nuovi
articoli. La soluzione scelta dall’Esecutivo, ispirata ai
modelli inglese e tedesco, è quella di introdurre un filtro
di ammissibilità incentrato sulla “non ragionevole
fondatezza del ricorso”. A decidere sarà lo stesso giudice
di appello. L’obiettivo è quello di risparmiare 200 milioni
di euro, ridurre i tempi dei giudizi e alleggerire il carico
delle corti d’appello.
LE CRITICHE DELLA RELATRICE
Innanzitutto, per Capano, il tema – inserito in un dl che
dovrebbe riguardare la crescita e la competitività del Paese
– “non è di particolare e immediato interesse per le
imprese, molto più interessate al primo grado”. Certo, le
condizioni degli uffici giudiziari in grado d’appello sono
note e “intollerabili”, “ma questo non giustifica
un’impostazione che introduce modifiche al rito ordinario ed
è invece timida su altri aspetti molto più urgenti, come
l’equa riparazione”.
Dubbi anche sull’equiparazione tra sistemi diversi: “Non ha
valore la circostanza che filtri, come quello introdotto dal
dl Sviluppo, esisterebbero in altri Paesi europei come
Germania e Regno Unito, per la profonda diversità tra common
law e civil law”.
Secondo la deputata
democratica, inoltre, si determinerà un innalzamento dei
costi con il ricorso ‘per saltum’ in Cassazione, ovvero
quello strumento che prevede di passare dal primo grado
direttamente in Cassazione. Definire come parametro del
giudizio di ammissibilità del ricorso, una “generica e
indeterminata ‘ragionevole probabilità di rigetto’ – ha
aggiunto Capano – pone la norma in conflitto con il
principio Cedu (Convenzione europea diritti dell’uomo; ndr)
per cui il grado in appello non può essere governato da
valutazioni eccessivamente discrezionali”.
Infine, il tema del processo del lavoro: anche qui la
relatrice ritiene “inopportuno il filtro”, perchè inserisce
“ulteriore indeterminatezza in una materia percorsa in
questi ultimi 3 anni da interventi profondi, come il nuovo
articolo 18 sui licenziamenti introdotto dalla riforma
Fornero”.
LE MODIFICHE ALLA LEGGE PINTO
Il testo governativo introduce anche alcune modifiche alla
legge Pinto sull’equa riparazione, del marzo 2001. Modifiche
che – a differenza di quelle relative al processo d’appello
– sono da valutare positivamente, secondo la relatrice:
“Certo, avrebbero potuto spingersi verso una maggiore
‘degiurisdizionalizzazione’, come previsto in alcuni disegni
all’esame del Senato, ad esempio quello a firma Silvia Della
Monica (senatrice del Pd; ndr)”.
In base al disegno di legge cui Capano fa riferimento
(cofirmato da due senatori dell’Udc, Gianpiero D’Alia e
Achille Serra), ci sarà violazione se il processo eccederà
la durata di tre anni in primo grado, due anni in appello e
altri due anni in Cassazione. L’indennizzo sarà determinato
in una somma che andrà dai 500 euro ai 2 mila per ogni anno
di ritardo.
Il decreto Sviluppo prevede invece sanzioni per le
richieste più pretestuose, con termini rigidi per la
presentazione delle domande. Il processo non potrà durare
più di sei anni, con tre anni per il primo grado, due per
l’appello e uno per la Cassazione. L’indennizzo sarà
determinato in una somma che andrà dai 500 ai 1.500 euro per
ogni anno di ritardo. (GAV)