di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Il referendum sulla giustizia – che si terrà nella primavera dell’anno prossimo – sta per entrare nel vivo. Già ora i giornali sono pieni di analisi e interviste ai protagonisti del SI e del NO alla separazione delle carriere. Il Governo, per volontà della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sembra intenzionato a de-politicizzare lo scontro, o quantomeno a de-personalizzarlo: non si vota su Meloni, ma su un pezzo della riforma della giustizia, noto agli addetti ai lavori come disegno di legge costituzionale n. 1353. Esso modifica alcuni articoli della Costituzione (gli articoli 87, 102, 104, 105, 106, 107, 110), facendo menzione di “distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti” e prevedendo, a tal riguardo, due distinti organi di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente. Tutto il resto è affidato alla capacità di raccontare meglio la riforma da parte dei rispettivi comitati.
Ma quali sono i rischi politici per chi si sta intestando la battaglia? È improbabile che Meloni si dimetta in caso di sconfitta, nonostante i prevedibili inviti dell’opposizione. Non si capisce perché, peraltro, anche se Matteo Renzi al Corriere della sera – forse scottato dalla sua esperienza – dice che Meloni dovrebbe lasciare: “Se il Governo fa una riforma e la impone in aula impedendo che ci siano emendamenti è chiaro che se gli italiani votano contro, il Governo va a casa. Fare un referendum su un testo scritto dal Governo significa chiedere la fiducia, non al Parlamento ma agli italiani. Se perde, Meloni sarà costretta ad andare a casa, certo”.
Sembra tuttavia rischiare di più Elly Schlein, che non concorre soltanto con Meloni ma soprattutto con i suoi alleati. Giuseppe Conte avrà gioco facile nel lanciarsi a bomba contro (quella che per lui è) l’ingiustizia, rivendicando posizioni nette e dure e accostando la modifica costituzionale ad antichi e nefasti progetti piduisti, come ha già fatto l’anno scorso quando ha detto che la riforma mette in atto una “svolta autoritaria che presenta assonanze con il progetto di rinascita democratica della P2”. Schlein ha poi un problema con il partito che dirige. Non sono pochi i volti eccellenti nel Pd a essere favorevoli alla riforma. Come Enrico Morando, Stefano Ceccanti, Claudio Petruccioli, Vincenzo De Luca (con il quale c’è stato persino un riavvicinamento in vista delle elezioni regionali in Campania), persino Goffredo Bettini.
“La riforma – dice De Luca – viene dal ritardo del centrosinistra, che ha governato per anni senza fare nulla sulla necessaria riforma della giustizia. Dopo l’evento Palamara avremmo dovuto fare una riforma della giustizia ma il centrosinistra non ha mai affrontato la condizione dei cittadini in questa situazione, non ha pensato che la prima cosa da difendere è la libertà e dignità dell’essere umano. Questi ritardi li abbiamo già conosciuti sull’atto d’ufficio che ha portato alla cancellazione dell’atto d’ufficio. Anche qui c’è stata una latitanza del centrosinistra sui valori fondamentali che hanno portato a questo risultato, in una situazione italiana in cui non ho sentito una parola del Pd di solidarietà a chi ha visto la propria vita, famiglia e attività economica rovinata per una inchiesta che l’ha poi assolto. Avremmo dovuto scegliere noi del centrosinistra al governo 5 personalità del mondo della giustizia, del diritto, per scrivere una riforma seria, non queste cose sbrindellate di una riforma allungata, poi ristretta, poi stiracchiata, poi mutilata, diventando un corpo deforme”.
Il problema principale tuttavia sarà far capire di che cosa stiamo parlando all’elettorato, che difficilmente si mobiliterà come avvenuto in altri frangenti (la guerra, per esempio). Per ora, stando ai sondaggi, i SI sono in vantaggio, ma in base al più recente, realizzato da Izi, istituto che si occupa di metodi, analisi e valutazioni economiche, la maggioranza degli elettori (il 57,8 per cento) ammette di non sapere di cosa si tratta, mentre il 70,9 per cento degli elettori – tra coloro che sono più informati – è favorevole alla legge. Il 21,9 per cento è contrario. Tra gli elettori del Governo, il 99 per cento vuole la riforma della magistratura, mentre gli elettori di opposizione la rifiutano (con percentuali attorno all’80 per cento). Insieme a una battaglia politica servirà insomma una campagna informativa. (Public Policy)
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)





