ROMA (Public Policy) – Sul dossier ‘orari negozi’, e quindi domeniche chiuse, si riparte dal via. M5s, Pd e Iv dovranno trovare un compromesso poiché le stesse forze di maggioranza, apprende Public Policy, ritengono non accettabile il testo base messo a punto dal relatore (che ha poi rimesso il mandato), il leghista Andrea Dara, ai tempi della maggioranza gialloverde. Con il cambio di Governo, quindi, bisognerà ricominciare il lavoro di sintesi che inizierà con una riunione che sarà fissata nei prossimi giorni e partirà da due punti di vista, quello Pd-Iv che punta a toccare minimamente la legislazione attuale, e quello M5s, che mira a mettere un freno a quella che ha giudicato una “liberalizzazione selvaggia” dell’apertura h24 e 7 giorni su 7, assai lontani.
Nella proposta presentata dal M5s, infatti, si punta a una chiusura obbligatoria per quasi tutte le domeniche dell’anno, seppur con un sistema di rotazione e di regolazione degli enti locali; il Pd, invece, prevede le serrande abbassate solo nelle 12 feste nazionali, con una possibilità di deroga fino a 6 giorni.
La ‘vecchia’ maggioranza M5s-Lega aveva trovato una sintesi che prevede un massimo di 26 domeniche aperte l’anno (con deroghe per zone turistiche e nei centri storici), chiusura obbligatoria nelle 12 festività nazionali (Capodanno, Epifania, Pasqua e Pasquetta, Liberazione, festa del Lavoro, della Repubblica, Ferragosto, Ognissanti, Immacolata concezione, Natale e Santo Stefano), di cui 4 derogabili su scelta delle Regioni. Previste poi deroghe per centri storici, negozi di vicinato, rivendite di generi di monopolio e molti altre, da ristoranti ad autogrill.
Le nuove forze di maggioranza, però, vorrebbero ripartire da capo. Per il M5s, infatti, quel testo era frutto di un compromesso troppo al ribasso con l’ex alleato, mentre per il Pd e Iv quel risultato è troppo lontano dalla propria impostazione. Nei prossimi giorni, come detto, i rappresentanti di Pd, M5s e Iv si vedranno per studiare il dossier.
Rimane poi aperto un capitolo: il relatore. Al momento il ruolo è svolto da Andrea Dara (Lega), ormai fuori dal perimetro della maggioranza. La questione, si apprende, è già stata sollevata in sede di Ufficio di presidenza dato che, in assenza di una rinuncia da parte dello stesso Dara, sarà la presidenza, in mano a un’altra leghista, Barbara Saltamartini, a dover prendere una decisione.