di Viola Contursi
ROMA (Public Policy) – Una riforma del fisco su un modello duale, impostata su un reddito individuale come unità impositiva dell’Irpef con incentivi al lavoro del secondo percettore di reddito all’interno del nucleo familiare. Con una riduzione dell’aliquota Irpef per i redditi medi, l’introduzione di un minimo esente che preveda una maxi deduzione che riduca il carico fiscale. E per partite Iva e Pmi il mantenimento del regime forfettario fino ai 65mila euro di ricavi, con un ulteriore regime flat opzione per due anni per chi guadagna tra i 65mila e un tetto massimo di ricavi da definire prima di passare al regime ordinario Irpef.
Questo l’architrave definitivo della proposta sulla riforma del fisco che esce dalle Camere, dove mercoledì sera le commissioni Finanze di Montecitorio e Palazzo Madama hanno approvato, dopo mesi di audizioni e settimane di mediazioni tra i gruppi, il documento di sintesi finale. Proposta, che rispecchia tutto sommato l’ultima bozza anticipata, che è stata approvata da tutti i gruppi ad eccezione di FdI (contrari) e di Leu (astenuti). Il documento di sintesi sarà ora la base sulla quale il Governo dovrà lavorare per la redazione del ddl delega atteso entro luglio.
Dal testo finale votato dalle commissioni Finanze è sparito l’accenno alla patrimoniale e alla riforma del catasto, inserita nel pomeriggio con un emendamento dei presidenti Luigi Marattin (Iv) e Luciano D’Alfonso (Pd). La correzione in questione – poi espunta dal testo approvato – sottolineava come in Italia “non vi è bisogno nè di introdurre nuove imposte nè aumentare il gettito aggregato di quelle esistenti” e proponeva di valutare “l’opportunità di inserire nella prossima legge delega un riordino complessivo dei valori catastali, valorizzando il più possibile ruolo e funzioni dei comuni e con l’obiettivo di riequilibrare il peso dell’Imu in favore degli immobili nei piccoli comuni delle aree interne e degli immobili dichiarati inagibili”.
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@VioC