“Governo Draghi dopo il Quirinale? In ogni caso non sarà la stessa cosa”

0

di David Allegranti

ROMA (Public Policy) –

D. Professor Angelo Panebianco, forse dovremmo anzitutto dissipare un dubbio, almeno a leggere i giornali: siamo improvvisamente diventati una Repubblica semipresidenziale?

R. No. Il presidente della Repubblica ha effettivamente importanti poteri di indirizzo e di condizionamento dell’attività del Governo, come abbiamo scoperto soprattutto quando sono entrati in crisi i partiti della Prima repubblica, perché prima non era chiaro, ma resta sempre una Repubblica parlamentare e il presidente del Consiglio deve dipendere dal Parlamento, dai gruppi parlamentari e dai gruppi che compongono la sua maggioranza. Draghi ha un grandissimo prestigio e quindi si assume che ovunque egli sia – come presidente del Consiglio o della Repubblica – darebbe grande forza alla carica che occupa, ma tutto ciò semplicemente legato al prestigio della persona. L’assetto istituzionale è lo stesso di prima e i condizionamenti sul presidente del Consiglio sono gli stessi di prima, e saranno gli stessi di chiunque occupi le due cariche.

D. Ma faremmo un buon affare a far traslocare Draghi?

R. Non le so rispondere, anche perché comunque, chiunque sarà il presidente della Repubblica che uscirà, chiunque sarà il presidente del Consiglio – anche lo stesso Draghi – il Governo sarà una cosa diversa da ciò che è stata prima dell’elezione del presidente della Repubblica. Perché i partiti assumeranno atteggiamenti molto diversi, molto più conflittuali ancora di quanto non è stato finora. A meno che la pandemia non si aggravi troppo, in quel caso torneremmo in una situazione di emergenza. Ma se la pandemia viene mantenuta sotto controllo, il presidente del Consiglio sarà in balia di gruppi che saranno sempre più rissosi man mano che si avvicina la scadenza del 2023. Non è pensabile che un eventuale Governo Draghi dopo il Quirinale sia la stessa cosa del Governo Draghi prima del Quirinale. A meno che, ripeto, l’emergenza non si riacutizzi. In questo questo caso, si manterrebbe quel grado di centralizzazione del potere politico che abbiamo avuto, non in virtù del nostro assetto istituzionale, che anzi lo penalizza, perché favorisce la diffusione dei poteri e la moltiplicazione dei poteri di veto: la centralizzazione è un fatto temporaneo dovuto all’emergenza. Se l’emergenza non si riacutizza, si tornerà alla situazione di prima e il governo avrà delle grosse difficoltà di navigazione.

D. Teme il voto anticipato? Renzi parla di ritorno alle urne nel 2022.

R. Non lo sa nessuno, credo che in parte siano normali giochi politici. Dipende da come andrà la partita del Quirinale. Ho l’impressione che o la risolvono al primo colpo, alla prima votazione, oppure sarà il trionfo dei franchi tiratori e saranno bruciati molti nomi; in parte perché i partiti non hanno le idee chiare, in parte perché i leader non controllano i gruppi. Ho l’impressione che l’unico gruppo controllato sia Fratelli d’Italia. Per il resto, i parlamentari si muoveranno ciascuno per suo conto. Vedo massima incertezza, a meno che non riescano al primo o al secondo colpo a risolvere la faccenda. Naturalmente, più diventa lunga la partita sul Quirinale, più gli animi si accedono. Chi perderà, e qualcuno perderà, avvelenerà tutti i pozzi che ci sono.

D. Ma il fatto che si pensi a Draghi anche per la presidenza della Repubblica non è la testimonianza dei limiti di questa classe politica?

R. Questa classe politica si è attorcigliata. In realtà dopo il referendum costituzionale del 2016 non c’è più un’idea su come affrontare i nodi istituzionali. Tant’è vero che Giorgetti parla di semipresidenzialismo di fatto, perché è tutto affidato esclusivamente alle qualità delle singole persone e le istituzioni non aiutano assolutamente. Però non c’è nessuna idea su che cosa fare; il referendum del 2016 ha seppellito una fase storica, nella quale l’Italia era una laboratorio per esperimenti costituzionali. Non mi pare che questo sia più possibile dopo quel referendum, che ha chiuso la partita forse per una generazione. In questa situazione, la classe politica è fragile perché sono fragili gli stessi partiti su cui la classe politica poggia e questa fragilità è talmente evidente anche a loro che devono aggrapparsi a una persona di prestigio. L’ultima volta che mi sono occupato di questi argomenti, ho scritto che in questo Paese sia la libertà sia la prosperità sono appese a un filo e bisognerebbe pensare di irrobustirlo, ma nessuno ha un’idea di come farlo. Anche perché la classe politica – comprensibilmente – è condizionata dal brevissimo termine, quindi il suo orizzonte temporale è ristretto. In genere, chi riesce a imporre alla classe politica di avere un po’ più di respiro non sono i singoli politici ma qualche leader che ha la visione, percepisce il consenso nel Paese e su questa base trascina la classe politica, facendo le riforme o intervenendo nei punti critici su quali bisognerebbe intervenire. Certamente la debolezza c’è ma è spiegabile. Sarebbe strano che la classe politica non fosse debole, in questa situazione.

D. La notizia della morte del populismo è fortemente esagerata?

R. Sì, anche perché questo è sempre lo stesso Paese che nel 2018 ha dato la maggioranza relativa ai 5 stelle e ha permesso a una forte affermazione della Lega sulle posizioni di Salvini, che sono diverse da quelle di altri leghisti. Non è che questi fenomeni scompaiono in fretta, ma il populismo è in ritirata perché non c’è più Trump. Nel momento in cui il centro del mondo occidentale era occupato da una persona con quelle caratteristiche, i gruppi populisti in Europa si rafforzavano. Il fatto che negli Stati Uniti non ci sia più quella figura li indebolisce. Però una cosa è dire che si sono indeboliti, una cosa è dire che quell’insieme di credenze, di idee, di luoghi comuni che hanno portato al populismo siano scomparsi. Questo non è sicuramente vero. Comunque, l’andamento di queste cose dipende molto dall’impatto delle sfide. Se la pandemia recede e se per esempio c’è un’ondata migratoria ancora più forte che in passato, allora questi fenomeni riemergono inevitabilmente, perché soprattutto l’immigrazione produce un fortissimo conflitto, spacca la società e questo è brodo di cultura per i movimenti di protesta. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)