di Viola Contursi
ROMA (Public Policy) – Le società a controllo pubblico, ad esclusione di quelle quotate e delle loro controllate, verranno d’ora in poi distinte in cinque fasce di grandezza, in base al “valore della produzione”, al “totale dell’attivo patrimoniale e fondi gestiti per conto terzi” e al “numero dei dipendenti”, e per ogni fascia vengono stabiliti limiti quantitativi agli stipendi degli amministratori, degli organi di controllo e dei dipendenti. Limiti massimi che vanno dai 240mila euro di un amministratore delegato di una grande società (di fascia 1) agli 8mila euro di tetto massimo per il compenso di un componente effettivo dell’organo di controllo di una società piccola di fascia 5.
Questo quanto prevede la bozza di decreto del ministero dell’Economia, di cui Public Policy ha preso visione, che attua, dopo anni, il comma 6 dell’articolo 11 del Tusp (Testo unico in materia di Società a partecipazione pubblica). Con l’entrata in vigore di questo dm verrà definitivamente mandato in soffitta il regime transitorio per cui continua ad applicarsi la normativa risalente alla spending review del Governo Monti.
5 FASCE DI SOCIETÀ
Il decreto, come detto, cataloga le partecipate in base alla loro grandezza patrimoniale, in cinque fasce, dalla più grande alla più piccola. Si va dalla prima fascia, in cui rientrano le società con un valore di produzione superiore ai 200milioni di euro, un totale dell’attivo patrimoniale di più di un miliardo di euro e più di mille dipendenti; alla società di fascia 5 con un valore di produzione inferiore ai 30 milioni di euro, un totale dell’attivo patrimoniale sotto i 50 milioni e meno di 100 dipendenti.
continua – in abbonamento
@VioC