di Gaetano Veninata
ROMA (Public Policy) – Ero quasi certo che questo – tra ponte e 1° novembre – sarebbe stato un venerdì senza Resocónto (e chissene), eppure, eppure.
Eppure qualcosa di succoso (spesso vietato ai minori) viene sempre fuori, ed è inutile che la mia pigrizia faccia affidamento sul silenzio dei nostri eletti.
E infatti, tra le pieghe del dibattito sul ddl Cinema, in aula alla Camera, è spuntata come d’incanto l’onorevole Paola Binetti:
“Mi interesserebbe molto capire che cosa significa oggi l’espressione ‘a carattere pornografico’, che cosa definisce la pornografia di un film, fino a dove si tratta di verismo nella rappresentazione di certe situazioni, fino a dove scatta quello che, una volta, era il comune senso del pudore e che adesso rappresenta una dizione totalmente archiviata, in quanto obsoleta.
“Capire che cos’è un film pornografico e non il film interamente pornografico, ma quella sorta di concessione che oggi c’è alla sequenza pornografica all’interno del film”.
“Sembra che ci siano molti film che non possono fare a meno di sequenze di un certo tipo perché, altrimenti, come dice qualcuno, il film non si vende, la gente non lo approccia. Ma che significa questo?”
“La verità è che bisogna vedere e bisognerà capire fino a che punto si arriva e anche qual è la percentuale che è tollerata, quella che possiamo chiamare una sorta di pornografia sparsa un po’ a gogò all’interno anche di film che, peraltro, avrebbero una dignità, uno spessore, un valore culturale altissimo e che non avrebbero nessun bisogno di certe sequenze, ma che pure presentano sequenze di questo tipo”.
“Questa si chiamerà censura? Non lo so”. (Public Policy)
@VillaTelesio