di Gaetano Veninata
ROMA (Public Policy) – Al netto dell’ontologia “intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale” (e del rischio che si corre, “duplice e speculare”), dell’audizione del neo ministro – e quasi laureato – Alessandro Giuli mi ha colpito e quasi affondato l’annuncio delle mostre in preparazione, in continuità con la breve ma intensa stagione sangiulianesca: Gramsci e Pasolini (quest’ultimo “a confronto” con Mishima).
In attesa di quella su Togliatti sovranista e sul Che nazionalista, e continuandomi a domandare perché invece evitino come la peste Ezra Pound (o meglio: capisco perché, ma un po’ di coraggio, su), mi permetto di suggerire al curatore dell’evento che il Governo più a destra della storia repubblicana farà su Gramsci, uno scritto dell’intellettuale sardo pubblicato nel 1916, dal titolo “Socialismo e cultura”. Sempre al netto dell’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, eh, per carità.
“Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici, di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è veramente dannosa […] Serve solo a creare degli spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell’umanità perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri.
Lo studentucolo che sa un po’ di latino e di storia, l’avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciare passare dei professori, crederanno di essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie nella vita ad un compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività vale cento volte di più di quanto gli altri valgano nella loro. Ma questa non è cultura, è pedanteria, non è intelligenza, ma intelletto, e contro di essa ben a ragione si reagisce.