Riforme e dintorni: le posizioni dei partiti, dal Pd ai 5 stelle

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Martedì, il primo incontro di Giorgia Meloni per discutere di riforme con le opposizioni. Tema complesso sul quale si sono fatti male in parecchi (citofonare Matteo Renzi). Si comincia con il Pd di Elly Schlein e l’offerta della leader FdI prevede, al momento, il premierato forte: l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Un passo indietro rispetto alla riforma presidenziale che, invece, prevede l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Il Pd di Schlein non è molto convinto dell’operazione, la stessa segretaria andrà a parlare con il capo del Governo ma controvoglia. Anche perché nel Pd le idee sono diverse da Meloni, parecchio diverse.

Ad esempio, Il senatore Dario Parrini, ex presidente della commissione Affari costituzionali, in un’intervista a Repubblica spiega di essere contrario “all’elezione diretta di un capo quale che sia”. Il Pd propone “di riformare la forma di governo con una modello alla tedesca, ovvero con la sfiducia costruttiva e l’elezione parlamentare del primo ministro, dotato di poteri accresciuti rispetto a quelli che ha oggi. La forma parlamentare va migliorata, ma senza fuoriuscirne. L’elezione diretta del presidente della Repubblica sarebbe una scelta distruttiva degli equilibri tra poteri sanciti dalla Costituzione. Il Quirinale funge da garante, da prezioso motore di riserva nelle emergenze e nei conflitti: per l’Italia è essenziale. Con il presidenzialismo il capo dello Stato diventerebbe un capo fazione e l’ordinamento italiano si troverebbe privo di una figura super partes in grado di rappresentare l’unità della nazione”. E il premierato?“È una variante del presidenzialismo che provoca molti scompensi”.

Anche dalle parti del M5s l’interesse per il presidenzialismo è basso. Eppure Meloni vuole coinvolgere almeno uno dei due maggiori partiti dell’opposizione. La posizione di Italia viva e Azione, ex Terzo polo, è più complessa. Renzi non andrà all’incontro con Meloni, lascerà tutto nelle mani di altri rappresentanti libdem: Carlo Calenda, Maria Elena Boschi, Raffaella Paita, Matteo Richetti. L’ex Terzo polo dice no all’elezione diretta del capo dello Stato perché, come ha già spiegato Calenda, la presidenza della Repubblica è l’istituzione più amata dagli italiani,  e non va “snaturata o politicizzata”). Diverso il discorso sul premierato, con l’elezione diretta del capo del governo. “Sull’elezione diretta del capo del governo si potrebbe trovare una maggioranza anche più larga dell’attuale. E la modifica della legge elettorale che sarebbe necessaria potrebbe restituire partecipazione alla nostra democrazia”, ha detto Carfagna, presidente di Azione, al Corriere della Sera. “Aspettiamo un testo da mesi. La ministra Casellati lo ha promesso per l’estate”, ha aggiunto Carfagna: “Al momento, rilevo la difficoltà di tenere insieme qualsiasi progetto presidenzialista con la riforma delle Autonomie del ministro Calderoli”. L’ex ministra coglie un punto politicamente importante negli equilibri della destra-centro: i rapporti fra i nazionalisti di Fratelli d’Italia e gli autonomisti della Lega. Le mosse di Meloni, che va a incontrare le opposizioni, vanno forse lette come il tentativo di arginare le pulsioni de-centraliste.

E Forza Italia che farà? Darà una mano? Ancora sembra essere frastornata dalla malattia del capo, Silvio Berlusconi, che sabato scorso è tornato con un videomessaggio di 20 minuti nonostante sia ancora ricoverato. Un modo per bloccare chi aspira, dentro il suo partito, a prenderne il posto. “Eccomi, sono qui per voi, in giacca e camicia dopo un mese. Al risveglio in ospedale mi sono chiesto… ma che ci faccio qui? Avevo lavorato troppo”, ha detto Berlusconi, spiegando di avere lo stesso entusiasmo del 1994, quando l’avventura berlusconiana prese il via. Dentro Forza Italia gli animi non sono sereni, come dimostra l’intervento del deputato e vicecoordinatore di Forza Italia Alessandro Cattaneo, che avrebbe voluto diventare capogruppo alla Camera salvo essere scalzato da Paolo Barelli, vicinissimo al coordinatore, ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani: “Dobbiamo costruire un partito scalabile e basato sul merito, dove anche l’ultimo dei militanti può ambire a diventare consigliere comunale o sindaco o parlamentare. Il partito deve essere aperto e contendibile”. Antichi sogni di un partito che non esiste. Come il presidenzialismo, forse. (Public Policy)

@davidallegranti