di Marta Borghese
ROMA (Public Policy) – Con 106 voti favorevoli, 61 contrari e 11 astenuti, l’aula del Senato ha dato il via libera in seconda lettura al ddl Separazione carriere, che si candida così ad essere la prima riforma costituzionale (e forse l’unica) che la maggioranza potrebbe riuscire a chiudere nel corso della legislatura. Hanno votato a favore FdI, FI (che ha dedicato “il voto storico” a Silvio Berlusconi), Lega, Nm e il leader di Az Carlo Calenda (mentre il collega di partito Marco Lombardo si è astenuto). Astenuto anche il gruppo di Italia viva. Mentre hanno espresso voto contrario i senatori di Pd, M5s e Avs.
Ora, perché il testo diventi legge, saranno necessari altri due passaggi, uno alla Camera e uno al Senato, per arrivare al referendum confermativo che la maggioranza vorrebbe veder realizzato nei primo semestre del 2026.
Alla Camera, dove il testo è stato approvato in prima lettura nel gennaio scorso, la conferenza dei capigruppo aveva già fissato la discussione in aula per luglio. Discussione poi slittata, anche a seguito della discussione al Senato, poi contingentata a 30 ore per l’esame degli emendamenti. La riforma firmata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal guardasigilli Carlo Nordio non ha subito modifiche nell’iter parlamentare.
Sono 8 gli articoli che compongono il testo e che modificano 7 articoli della Costituzione, nella parte relativa ai poteri del presidente della Repubblica (che sarà chiamato a presiedere due Csm e non uno, come accade oggi) e, soprattutto nella parte relativa alla magistratura.
La separazione delle carriere tra giudici e pm
Il cuore della riforma firmata dal ministro Carlo Nordio è costituita dall’articolo 3, che sostituisce integralmente l’articolo 104 della Costituzione. In particolare, si introduce con la norma una distinzione tra le carriere requirente e giudicante dei magistrati, facendo sì che le funzioni di pubblico ministero e di giudice siano completamente distinte. Un iter, in realtà, già in parte avviato con la riforma Cartabia, dopo la quale il passaggio tra funzioni è consentito una sola volta in carriera. Oggi – contestano le opposizioni – tale passaggio riguarda approssimativamente una ventina di magistrati l’anno su circa 9.500. Per la maggioranza, la distinzione è a garanzia del giusto processo.
I due Csm formati a sorteggio
Sempre l’articolo 3 disciplina l’istituzione e la formazione di due differenti Csm, quello della magistratura giudicante – di cui farà parte di diritto il primo presidente della Corte di Cassazione – e quello della magistratura requirente – di cui farà parte di diritto il procuratore generale della Corte di Cassazione, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica.
Il ddl prevede che tutti i membri del Csm siano nominati a sorteggio, per un terzo da un elenco di professori universitari e avvocati con 15 anni di esercizio stilato dal Parlamento, per due terzi dai magistrati delle rispettive funzioni – requirente e giudicante. L’introduzione del sorteggio, nelle intenzioni più volte esplicitate dalla maggioranza, è il contrasto delle correnti della magistratura, ma il principio è stato più volte contestato come “svilente” da parte delle opposizioni.
L’Alta Corte, solo per la magistratura ordinaria
Altra novità centrale è quella prevista dall’articolo 4 del testo, che sostituisce integralmente l’articolo 105 della Costituzione e che introduce l’Alta corte disciplinare chiamata ad amministrare la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, sia giudici sia pm. L’Alta corte sarà formata da 15 membri: 3 accademici o avvocati con almeno 20 anni di servizio nominati dal presidente della Repubblica; 3, con gli stessi requisiti, estratti a sorte da un elenco stilato dal Parlamento; poi, sempre estratti a sorte, 6 giudici e 6 pubblici ministeri.
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@BorgheseMarta