di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Il nuovo Governo non è ancora nato, ma già ci sono molte scadenze che lo attendono. Tra queste c’è l’entropia dei bonus, come l’ha chiamata l’Istituto Bruno Leoni: “È possibile, è sostenibile, è ragionevole prorogare tutti i bonus e gli sgravi sui prezzi dell’energia che si sono accumulati nel corso dell’ultimo anno?”. A novembre scadono i crediti d’imposta per le imprese energivore, gasivore e per le Pmi; nello stesso mese lo sconto sulle accise di benzina, gasolio, Gpl e metano per autotrasporto a dicembre il bonus carburanti per i settori dell’agricoltura e della pesca; sempre a dicembre le garanzie Sace per i prestiti chiesti dalle imprese per pagare le bollette”.
A questi – osserva IBL – “si aggiungono svariate altre misure, per esempio i bonus per il trasporto pubblico, lo sport, il terzo settore, i bonus sulle bollette per le famiglie a basso reddito, i vari bonus una tantum, perlopiù in vigore fino alla fine dell’anno”. Questi provvedimenti, “individualmente, possono essere ritenuti più o meno desiderabili e più o meno efficaci. Ma, nel complesso, costituiscono una massa di spesa pubblica che il Paese non può permettersi: secondo le stime più aggiornate, dalla seconda metà del 2021 abbiamo stanziato quasi 60 miliardi di euro, oltre il 3 per cento del Pil. L’equivalente di due manovre finanziarie, si sarebbe detto una volta. L’intento di questi interventi è stato lodevole, la realizzazione confusa, il costo semplicemente insostenibile”.
La politica dei bonus dunque potrebbe essere troppo onerosa per il prossimo Governo e anche per le tasche degli italiani. Ma queste scelte non sono le uniche a pesare nel futuro probabile Esecutivo Meloni. Per il momento c’è pure da sciogliere la questione della squadra. Partecipare al totoministri può essere persino noioso, ma resta comunque un passaggio importante soprattuto per l’equilibrio della maggioranza. Meloni dovrà trovare un equilibrio soprattutto nel rapporto con la Lega di Matteo Salvini. Il capo leghista sembra un pugile suonato, ha incassato la fiducia – diciamo così – del suo consiglio federale, reclama posti che non gli possono più spettare, come quello di ministro dell’Interno. Difficilmente sarà accontentato, difficilmente per lui ci saranno spazi analoghi a quelli del passato. Si parla però di un possibile incarico come vicepresidente dell’Esecutivo, magari con una delega semi-importante.
Su Salvini c’è tuttavia la pressione dei governatori del Nord, da Luca Zaia a Massimiliano Fedriga. C’è la pressione anche della vecchia guardia, come Roberto Maroni che ha già chiesto un nuovo segretario. Salvini potrebbe essere la variabile impazzita del governo di centrodestra, l’agit prop che invoca per sé un ruolo che non gli più proprio. D’altronde il capo della Lega lo ha già fatto intuire nella conferenza stampa all’indomani della sconfitta: “Quando la Lega fa la Lega non ce n’è per nessuno”. Il che fa presagire un futuro movimentista per il Carroccio (non a caso si è parlato anche di appoggio esterno).
E nell’opposizione che accade? Grande è la confusione sotto il cielo del Pd. È passata una settimana dal voto del 25 settembre, con la vittoria del centrodestra – o, meglio, della destracentro – e la sconfitta del Pd, rimasto sotto la soglia psico-politica del 20 per cento. Enrico Letta ha annunciato che non si presenterà al prossimo congresso e per questo giovedì ha convocato una direzione nazionale per avviare il percorso verso la scelta del nuovo segretario. Una tra le tante assurdità delle ultime settimane: le non dimissioni di Letta, che ricordano la non sconfitta di Pierluigi Bersani. Ma non si capisce a che titolo un segretario (non) dimissionario spieghi come dovrebbe riorganizzarsi il Pd. Anche perché avrebbe potuto e dovuto farlo nell’ultimo anno e mezzo.
L’obiettivo comunque è fare presto, in anticipo sulla scadenza del marzo 2023. Per tutta risposta, si sono scatenati gli aspiranti segretari del Pd e stanno fioccando le auto candidature. Da Paola De Micheli a Stefano Bonaccini. Si parla anche di Elly Schlein. Una candidatura da “sinistra alta società” come dice il presidente della commissione Bilancio del consiglio regionale pugliese, Fabiano Amati. (Public Policy)
@davidallegranti